Magazine Cinema
di Clint Eastwood
con Christopher Walken, Freya Tingley, John Lloyd Young, Jeremy Luke, Francesca Eastwood
Usa,2014
genere, musical, biopic
durata. 134'
In termini cinematografici l'età può essere un concetto puramente anagrafico. A dimostrarlo c'è la mentalità di autori che non finiscono mai di sperimentare e di film che fatichiamo a collegare a un determinato sguardo generazionale. A questo contesto appartiene di diritto Clint Eastwood e il suo "Jersey Boys", opera che spiazza già in fase di sinossi, presentandoci la storia dei Four Seasons, gruppo musicale che a partire dagli anni 60 contribuì a comporre la colonna sonora di quel periodo, ma non solo. Perché la storia di ragazzi senza arte ne parte che diventano delle star del firmamento musicale e' anche la celebrazione di un sogno americano, che Eastwood gestisce con insolita leggerezza, adottando almeno nelle sue linee generali (perchè in questo caso le musiche non sostituiscono i dialoghi dei personaggi) un genere mai frequentato, il musical, che il regista riesce comunque a contaminare della sua poetica. Abbiamo quindi la presenza massiccia della "performance in diretta", delle esibizioni canore che testimoniano l'excursus divistico dei personaggi ma anche la descrizione degli aspetti privati, quelli che in un biopic - e Jersey Boys è anche questo - consentono di scoprire l'altra faccia della medaglia. Dettagli, questi ultimi, che nel film in questione, permettono a Eastwood di riflettere sul prezzo del successo, ribadendo una pessimismo esistenziale che il personaggio di Frank Valli, cantante del gruppo e personaggio centrale della narrazione, incarna soprattutto nella dignità con cui affronta i drammi della vita: da quello che decreta il fallimento del rapporto amicale con Tommy, collega e mentore che non riesce a mettere da parte il proprio ego, costringendo il gruppo a sobbarcarsi il debito che ha con contratto con la mafia, alla morte di Francine, la figlia minore di cui il cantante si sente in qualche modo responsabile.
Ma "Jersey Boy" corrisponde a Eastwood per l'amore sviscerato nei confronti della musica e per uno sguardo verso la Storia di un paese, raccontato attraverso le contraddizioni di uomini che hanno il coraggio di viverla fino in fondo: come capita a Valli, che ritroviamo vivo e vegeto sul finire degli anni 90, pronto a esibirsi con i vecchi compagni d'avventura. Qui la bravura di Eastwood consiste soprattutto nel saper convivere con la mitologia del successo che il musical di Broadway (da cui il film è tratto) porta nel film con il suo mix di cadute e di trionfi, e con aneddoti come quello della scelta del nome d'arte (ricavato dall'insegna del negozio illuminata da un lampione malfunzionante) che appartengono di diritto all'immaginario delle carriere fuori dal comune. In una messinscena che non fa nulla per nascondere la natura volutamente artificiosa - come risulta dalla ricostruzione ambientale, piatta e poco storiografica - e una teatralità manifesta nella predominanza degli interni, così come nella possibilità degli attori di parlare rivolgendosi direttamente alla telecamera, "Jersey Boys" rappresenta l'inno alla libertà di un regista che si diverte a scherzare sul cinema, facendo il verso ai tough guys di Scorsese, ripresi con toni da commedia dal boss interpretato da Christopher Walken- e a ragionare sulla natura del cinema che, nella passarella finale dei personaggi pronti a ricevere un ultimo applauso, ci ricorda la particolarità di un'arte che fa dello spettatore il suo indispensabile interlocutore.
(pubblicato su dreamingcinema.it)
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