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Parte dal principio allora Clint, da un gruppo non ancora formato che per le strade del New Jersey si arrangia svolgendo alcuni lavoretti per un rispettato boss di quartiere. Imprime immediatamente uno stile classico al suo lavoro, curando meticolosamente la fotografia e spolverando una patina gangster che ricorda moltissimo il Martin Scorsese di "Quei Bravi Ragazzi" (seppur con dovute distanze e misure). La sensazione infatti è che Eastwood non abbia assolutamente voglia di marcare il territorio e di manifestarsi sfacciato attraverso il suo tocco duro e tagliente, ma preferisca invece non esser di troppo e compiere il suo onesto lavoro lontano da guizzi e lampi, non scordando tuttavia l'intelligenza e l'equilibrio che da sempre lo contraddistinguono. E allora ecco che "Jersey Boys" sbatte sullo schermo come un passaggio neutro della sua carriera, un arricchimento, che non sposta l'asticella né in positivo né in negativo, ma lascia ogni cosa invariata, compresa la capacità di saper ricavare dai propri attori - che siano noti oppure no - il massimo della performance.
Prevedibile, scontato e a tratti libero nel concedersi qualche leggera battuta, ovviamente non è il lavoro che più s'addice al cinema eastwoodiano quello preteso da "Jersey Boys", o perlomeno non lo è nella sceneggiatura scritta a quattro mani da Rick Elice e John Logan. Abituato a scavare nel profondo infatti, il regista deve faticare parecchio prima di agguantare il suo premio e dare risalto a una pellicola di per sé piatta e canonica. E' lungo e netto lo spazio che separa un primo spaccato ad alto tasso d'intrattenimento ad un secondo assai più profondo e malinconico, in cui emergono tutti i pro e i contro legati al territorio e alle origini che, in qualche modo, Frank Valli e amici non riescono ad abbandonare definitivamente raggiunta la piena popolarità. E a Eastwood questo lato sincero e intimo non può che piacere oltremodo, è il momento in cui lo si sente nuovamente respirare e riprendere a dirigere a pieno regime un'opera di cui sembrava esser pilota automatico. Stimolato e coinvolto dalla robustezza indistruttibile dei legami di sangue, di strada e di quartiere il vecchio Clint si riscopre appassionante e appassionato, custode ancora di un cuore caldo bollente.
Così, la versione cinematografica del musical ideato da Marshall Brickman intercetta finalmente l'ingrediente mancante per annientare quel gusto a tratti insipido che l'aveva circondata, scacciando contemporaneamente il fantasma che si stava formando di un Clint Eastwood regista si, ma su commissione. Sotto la sua guida, nonostante i pochi sforzi, la vicenda dei quattro ragazzi spiantati del New Jersey evita sicuramente un anonimato rischioso e plausibile, plasmandosi in qualcosa di riconosciuto e di gradito.
Il che non è il massimo ma meglio di niente.
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