di Antonio Romagnoli
Regia: John Ridley
Cast: André Benjamin, Hayley Atwell, Imogen Poots, Burn Gorman
2013 - GB/IRE/GB - Biografico - 118 min
Che l’operazione biopic non sia mai facile non è un mistero; ad aumentare la difficoltà è la trasposizione sullo schermo di uno dei personaggi più iconografici e complessi della storia del rock, Jimi Hendrix. John Ridley si trova dunque in un’operazione complessa e difficile da rendere credibile, con i fantasmi del fallimento biografico di Oliver Stone ad essere inevitabilmente fardello e metro di giudizio; ovviamente parliamo di “The Doors”, uno dei biopic meno riusciti della storia del cinema, su uno dei più grandi della storia del rock.
Il primo tentativo fatto in “Jimi: all by my side”, tra l’altro riuscitissimo, è quello di circoscrivere la narrazione in un breve lasso di tempo, da quando Hendrix viene scoperto e portato in Inghilterra, fino al giorno prima della consacrazione avvenuta al festival di Montrey (un tentativo simile era stato fatto nel recente “Grace di Monaco”, in maniera però del tutto maldestra e sconsiderata). Il secondo, e forse più grande, punto di forza del film, parte in realtà come menomazione, non avendo la produzione i diritti per poter usare i brani originali del leader degli Experience (anche se in una scena, con un orecchio attento, si può distinguere l’andamento musicale di “Woodoo Chile”): l’immagine di grande artista ne esce dunque non solo intatta, ma anche in primo piano rispetto alle classiche ascese e discese da poeta maledetto, che tanto fanno gola quando si tratta di personaggi del genere (ricordavamo qui sopra quanto Stone ci fosse cascato in pieno). La fotografia e l’immensa bravura scenografica, tipicamente americana, restituiscono tutto un affresco storico che ha contribuito alla nascita del mito di Jimi Hendrix, e la chiusura con lui che suona la chitarra a dodici corde, in mezzo alla vuota immagine bianca, fa restare incollati alla poltrona per tutta la durata dei titoli di coda (che alla scomparsa si concederanno all’unico brano originale, “Wild Thing”). Infine l’interpretazione di tutto il cast è perfettamente inserita in tutto il contesto.
Come dicevamo, le aspettative per il genere biografico non sono mai alte, ripensando ai grandi flop del passato (forse uno dei più riusciti, in ambito musicale, era stato “Control”, il biopic su Ian Curtis). “Jimi: all by my side”, è destinato a diventare un film di culto per tutti gli appassionati del chitarrista che, con una sensibilità umana disarmante, ha cambiato per sempre la storia della musica: alla fine della visione restano solo applausi e brividi.
Antonio Romagnoli
Magazine Cinema
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