Un ritratto di Jimi Hendrix
Chi ama la musica, senza confini di genere, suoni, ritmi e molto altro, prova sempre un’emozione incontenibile quando riconosce il suono graffiante, urticante, da ferita mortale di Jimi Hendrix. Lui è stato tutto in pochi anni: innovatore, sommo esecutore, autore, restauratore delle usanze e dei costumi musicali.
Nella musica popolare esiste un prima e un dopo Jimi, poi sono arrivati gli altri. Solo i Rolling Stones dei primi anni , Elvis Presley e Jim Morrison possono stare sullo stesso piano, dal punto di vista della storia della musica pop. Jimi era una specie di randagio, nato a Seattle da una coppia di scoppiati, da una madre adolescente, Lucille, che era una giovanetta smarrita che spesso trovava in un pessimo whiskey un po’ di tranquillità e dal padre Al, mezzo afro e mezzo nativo americano, un’anima in pena. Jimi un giorno scopre la chitarra e ne diventa il re, per il magazine Rolling Stone, è il numero uno al mondo, seguito da Eric slowhand Clapton. Nessuno al mondo ha mai saputo suonare questo strumento come lui. Era mancino e suonava la chitarra per destri, capovolgendola. Nei concerti suonava con le dita e con i denti, fino a sanguinare. Ascoltarlo è un’esperienza psichedelica, soprannaturale, fuori dalle righe e dagli schemi. La sua chitarra ti prende prima alla gola, poi allo stomaco, poi al cervello e infine al sesso, ti fa venir voglia di accoppiarti con selvaggia naturalezza. Jimi aveva iniziato negli USA, ma solo tramite una donna del giro dei Rolling Stones è arrivato a farsi sentire e scoprire, è riuscito a iniziare una breve carriera straordinaria, passando per Londra, per poi ritornare nel suo Paese. Si distruggeva Jimi, era anche un disadattato, senza freni, la droga lo ha distrutto. Ma è immortale e indimenticabile.
Ascoltate Electric Lady Land e chiudete gli occhi. Jimi, il mood del beat, la poesia elettronica, il viaggio è appena iniziato
Mauro Pecchenino