Il tasso di acerbità è comunque elevato e per cause evidenti inficia la riuscita dell’opera a cui manca un mastice capace di tenere i novantatre minuti di durata. Questo è davvero un sintomo di immaturità visto che Sono dimostrerà ampiamente di essere una penna talmente sostanziosa da strabordare nell’esagerazione senza perdere un briciolo di credibilità; qui non è che la trama sia asciutta o che si proceda per sottrazione, d’altronde la sola presenza di un film parallelo all’interno del film stesso schiude porticine piuttosto fertili, ed anche gli avvicendamenti categoriali (dalla commedia al dramma finale che ha un qualcosa della scena madre di Chanto tsutaeru, 2009) e le immancabili stramberie (genitori travestiti da orsi, copricapi mostruosi) garantiscono un’energia che a prescindere dai primordi registici pur avendo vent’anni in più sulle spalle non molla di un centimetro, il punto è che una mancata omogeneità (da intendere come costruzione sequenziale [e non] saldante) indebolisce il fervore di Sono limitato in una frammentarietà di eventi privi di raccordi (o magari è chi scrive a non averli colti), e da un tale andamento discontinuo si genera un oggettino che tra le altre cose non fa sicuramente del coinvolgimento il suo punto di forza, ma si sa, a Sion Sono gli si può perdonare tutto e Jitensha toiki o meno lui resta un peso massimo del cinema orientale.
Il tasso di acerbità è comunque elevato e per cause evidenti inficia la riuscita dell’opera a cui manca un mastice capace di tenere i novantatre minuti di durata. Questo è davvero un sintomo di immaturità visto che Sono dimostrerà ampiamente di essere una penna talmente sostanziosa da strabordare nell’esagerazione senza perdere un briciolo di credibilità; qui non è che la trama sia asciutta o che si proceda per sottrazione, d’altronde la sola presenza di un film parallelo all’interno del film stesso schiude porticine piuttosto fertili, ed anche gli avvicendamenti categoriali (dalla commedia al dramma finale che ha un qualcosa della scena madre di Chanto tsutaeru, 2009) e le immancabili stramberie (genitori travestiti da orsi, copricapi mostruosi) garantiscono un’energia che a prescindere dai primordi registici pur avendo vent’anni in più sulle spalle non molla di un centimetro, il punto è che una mancata omogeneità (da intendere come costruzione sequenziale [e non] saldante) indebolisce il fervore di Sono limitato in una frammentarietà di eventi privi di raccordi (o magari è chi scrive a non averli colti), e da un tale andamento discontinuo si genera un oggettino che tra le altre cose non fa sicuramente del coinvolgimento il suo punto di forza, ma si sa, a Sion Sono gli si può perdonare tutto e Jitensha toiki o meno lui resta un peso massimo del cinema orientale.
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