Stay hungry, stay flop
Biopic parziale e non ufficiale, Jobs (2013) vive di voci di corridoio, di leggende metropolitane e dell’enfatizzazione eccessiva di un personaggio altalenante, che oscilla tra negatività (paranoia, maniacalità e spietata ambizione) e genialità.
Vent’anni (e qualche anno in più) della vita di Steve Jobs. È questo che Jobs racconta, aprendo con la presentazione dell’ipod (2001), per poi tornare indietro nel tempo alla metà degli anni 70 quando, nello scantinato di casa Jobs, Steve e Wozniak cominciano a costruire il futuro partendo dallo sviluppo di un videogioco per Atari.
Nasce male e prosegue peggio il prodotto firmato Joshua Michael Stern, perché Jobs non riesce a convincere e disegna Steve Jobs in modo eccessivamente appassionato. L’impressione è che il regista abbia voluto traslare la figura pubblica di Jobs (infarcita di lunghi monologhi motivazionali) nella vita privata e lavorativa. Difatti vediamo spesso Ashton Kutcher (partecipativo e mimetico, ma non abbastanza) prodigarsi in lunghi sproloqui enfatici a una platea (in)visibile, con la bocca spalancata e pronta ad applaudire. Questo è il disegno (approssimativo) di un personaggio sicuramente rilevante del nostro secolo e dello scorso, ma che difficilmente snocciolava esclusivamente pillole di saggezza, aforismi ed esuberanza.
Tutto ciò è Jobs, un film che, con una costruzione narrativa e uno stile cinematografico convenzionale (assimilabile a un sintetico film per la tv), non coinvolge e non fa trasparire dalle immagini la passionale, controversa e provocatoria esistenza del padre di Apple, anzi si limita a provocare, a narrare e a inciampare in numerosi ostacoli disseminati lungo il percorso.
Jobs è una pellicola grossolana, che fatica a mettere a fuoco le numerose sfaccettature del guru Apple, che cita affermazioni celebri per riempirsi la “bocca” e che mette in fila scene edificanti senza arrivare al cuore del personaggio e dello spettatore. Occasione persa.
Uscita al cinema: 14 novembre 2013
Voto: **