Quando nel 2002 Joe Cocker cantò a Taormina, probabilmente, molti pensavano fosse l’ultimo concerto del bluesman britannico in terra sicula. Del resto, alle soglie dei sessant’anni e con una carriera iniziata nel lontano 1969, sembrava arrivato anche per lui il momento di uscire di scena e godersi la meritata pensione. Ma Cocker, si sa, non è un artista come gli altri. Infatti, in questi nove anni, ha inciso tre nuovi album e intrapreso altrettante tournée. In questo lasso di tempo è passato anche dall’Italia, ma prima dello scorso 26 luglio non era più tornato nell’isola più grande del Mediterraneo; sede dell’esibizione è stato proprio il Teatro Antico di Taormina. Ad attendere il Leone di Sheffield c’erano poco più di duemila spettatori. Un pubblico variegato, composto da nostalgici di Woodstock, ma anche da tanti giovani conquistati a ritmo di blues. Cocker si è presentato con la consueta camicia scura a maniche lunghe, accompagnato da una band di otto elementi. Ha parlato poco (saluti di rito a inizio e fine concerto) e ha bevuto tanta acqua (circa tre litri in bottigliette da mezzo litro), senza mai abbandonare il palco in un’ora e venti di live. Sedici successi, cantati al pubblico con la sua inconfondibile voce graffiante, quasi immutata nonostante il passare degli anni, e con la sua solita energia, contrassegnata dal movimento delle mani e delle dita, un marchio di fabbrica imitato da tanti.
Il cantante inglese ha aperto lo show con Hitchcock Railway e Feelin’ Alright, due successi datati 1969. C’è stato spazio anche per la celebre You Are So Beautiful e per le hit degli anni ’80: Up Where We Belong, vincitrice di un Golden Globe come colonna sonora del film Ufficiale e gentiluomo, You Can Leave Your Hat On, diventata simbolo dell’eros grazie al lungometraggio Nove settimane e mezzo, e Unchain My Heart, che ha scatenato il pubblico, trasformando il teatro siciliano in una discoteca. Poi è toccato alla più recente N’Oubliez Jamais (1997) che ha catturato l’attenzione degli spettatori con la sua dolcezza e delicatezza. Ma l’apoteosi è stata raggiunta nei sei minuti di With a Little Help from My Friends, la cover di beatlesiana memoria che ha consacrato Cocker come un simbolo della generazione del Sessantotto. Poco spazio, invece, alle canzoni dell’ultimo album (incluse nella setlist solo Hard Knocks e Unforgiven). In chiusura, a infiammare gli spalti, è stato il turno di Come Together, Cry Me a River e High Time We Went, frammento finale di una serata breve, ma densa di emozioni. Emozioni che solo una voce così importante poteva regalare.
Le tre fotografie inserite in questo articolo sono di Giulia Pulvirenti