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E' ancora il numero agostano di Internazionale a regalare ai lettori un nuovo reportage a fumetti di Joe Sacco. Il graphic journalism, genere di cui l'autore di origine maltese è il capostipite, viene costantemente proposto dalla rivista settimanale che raccoglie il meglio della stampa internazionale. Il numero estivo dedicato ai viaggi vede, come l'anno scorso, le tavole di Sacco raccontarci un'altra realtà dal suo interno. Se l'estate scorsa i protagonisti erano gli immigrati africani rifugiati a Malta e gli ospiti, loro malgrado, cittadini maltesi (di cui avevo parlato qui), quest'anno le matite del "giornalista grafico" ritraggono i volti sfiniti, denutriti e senza speranza dei dalit, gli intoccabili dell'India.
Sacco entra nelle loro case, nella loro vita, rimasta ferma a due secoli fa. Domanda loro che lavoro facciano, come si procurino il cibo, quale sia il rapporto con i componenti delle caste superiori e con la macchina burocratica dello stato, corrotta e inefficiente. Ne esce un quadro sconfortante, fatto di ingiustizia, prevaricazione, violenza, morte e fame.
Quello che più sconvolge è che l'immagine falsa propugnata dai media indiani e internazionali di un paese patria di un secondo sogno americano, dove il PIl cresce al ritmo cinese, l'industria cinematografica di Bollywood sfavilla e gli ingegneri indiani eccellono a livello mondiale, crolla miseramente di fronte alle parole e ai volti riportati da Sacco in questo reportage. Sono le parole che svelano la condizione di oltre tre quarti di popolazione indiana (più di 830 milioni di persone) che vive con meno di un dollaro al giorno. Sono i volti emaciati di donne e bambini costretti a rubare i chicchi di cereali dalle tane dei ratti per sopravvivere. Sono gli occhi di uomini sfruttati nel lavoro e incapaci di ribellarsi perché, ogni volta che l'hanno fatto, la loro condizione è peggiorata. Sono le storie di persone destinate a scomparire.
L'asciuttezza dello stile di Sacco nel mettere in primo piano la gente con i suoi problemi quotidiani e ordinari esalta l'effetto realistico. Pur essendo una mondo lontanissimo per un occidentale, Sacco riesce a produrre spontaneamente nel lettore un sentimento di empatia, che lo porta a cercare di entrare nei panni dell'intervistato. Se ci pensate, già questo è un grande risultato per un reportage.
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