Jóhann Jóhannsson è attivo sin da inizio Duemila, ma ho ragione di credere che il suo nome abbia cominciato a girare al di fuori delle solite cerchie (nemmeno tanto piccole, dato che è uscito per 4AD, Touch…) grazie alla colonna sonora del recente “La teoria del tutto”, che si è presa un Golden Globe e una nomination agli Oscar. Vista la sua versatilità, ha presenziato – come strumentista, produttore, autore, ospite… – in un numero pazzesco di progetti in questi anni, tanto che anche in ambito cinematografico da lui non si sa mai cosa aspettarsi, posto che è evidente la sua tendenza a utilizzare registri (e strumenti) “classici”. Al lavoro per la seconda volta col regista Villeneuve (la prima era “Prisoners”), svolge il suo compito senza rubare la scena a nessuno. Durante il film, infatti, gioca nelle retrovie, pur se coadiuvato da una pletora di orchestrali e artisti di valore assoluto – noti a chi segue un po’ le musiche indipendenti – come Hildur Gudnadóttir (violoncello), Robert Aiki Aubrey Lowe (voce e modular synthesizer), Skúli Sverrisson (basso) e Shazad Ismaily (chitarra e percussioni): ci sono silenzi, dialoghi e scene dove lui non entra o rimane in sottofondo. “Sicario“, del resto, sarà pure descritto da qualcuno come un thriller, avrà di certo qualche scena d’azione interessante (il trasporto blindatissimo di un criminale dal Messico agli Stati Uniti, ad esempio), ma non sembra voler agire su emozioni primarie dello spettatore, non cattura il suo sguardo con chissà quali immagini lisergiche o – appunto – gli prende lo stomaco con la potenza delle musiche, piuttosto ne impegna il cervello con protagonisti enigmatici, la cui moralità è molto difficile da decifrare, così come difficile districare la matassa politica/legale/etica che è l’argomento principale di questa pellicola (traffico di droga e immigrazione oggi negli USA).
I brani si basano sovente su archi e fiati dal suono il più possibile basso/ribassato (talvolta per effetto della manipolazione elettronica), così che da un lato finiscono, unitamente all’uso militaresco delle percussioni (Jóhann dice Swans, ma è troppo facile e un po’ paraculo come paragone), per ricordare The Protagonist, Puissance e il cosiddetto martial industrial, dall’altro nuove leve come Haxan Cloak, se proprio non vogliamo cercare confronti con Hans Zimmer e altri nomi grossi hollywoodiani. Questa gravità e serietà ben si adattano sia alla protagonista femminile (Emily Blunt) e alla tensione che le provoca il dover muoversi al di fuori di un quadro di regole chiaro, sia a quello maschile, un Benicio Del Toro sempre intento a comprimere la sua rabbia e il suo dolore indicibili. Di più non si può aggiungere, perché Jóhannsson sembra davvero essersi limitato a (o essere stato messo solo nella condizione di) dare un vestito sonoro “comodo” a “Sicario“. Professionale, coi pregi e i difetti della cosa.
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