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La trama (con parole mie): la salsa di soia, una nuova, potentissima droga, apre le porte della percezione, del Tempo e delle dimensioni a chiunque ne faccia uso, quasi fosse il catalizzatore di un potere che ancora il nostro mondo non è in grado di comprendere.John e Dave, amici di vecchia data, grazie alla stessa sostanza di colpo si ritrovano al centro di una vicenda di invasioni di creature figlie delle ricerche di uno studioso geniale in un mondo gemello rispetto al nostro e morto qui, tra poliziotti posseduti da insetti, armi da fuoco e ragni giganti, senza contare un viaggio attraverso le dimensioni ed una "cosa" senziente dalle pretese quasi dittatoriali.Ed uno scenario da fan di Eyes wide shut.Vi pare di non capirci più nulla e di essere al centro di un vortice senza un senso preciso? Non preoccupatevi: non siete voi a scegliere la salsa di soia, ma la salsa di soia a scegliere voi.
Non è affatto una cosa facile, riuscire a confezionare un pastrocchio grottesco apparentemente senza capo ne coda facendolo sembrare una cosa divertente e cool ma non menosa e pseudo-autoriale di quelle in grado di farmi prudere le bottiglie: di recente, in ambito cinematografico, erano riusciti nell’impresa – almeno in parte – soltanto Gregg Araki con il suo spassosissimo Kaboom ed Evan Glodell con il piccolo cult Bellflower.
Don Coscarelli, però, è un tipo che la sa più lunga di quanto non si creda, e sfruttando una vena assolutamente trash sfodera una pellicola sorprendentemente scombinata e divertente, un cocktail di generi dal gusto di b-movie così spiccato da far apparire il suo precedente – e mitico – Bubba Ho Teep praticamente come un serioso film da salotto bene.
Proprio a quest’ultimo lo lega – anche se soltanto idealmente – la mitologia che Joe Lansdale – autore del racconto che originò proprio Bubba Ho Teep – sfruttò nel realizzare una delle sue opere più famose, La trilogia del drive in che, seppur non amata quanto la saga di Hap e Leonard, è stata comunque una lettura che qui in casa Ford ci si è goduti alquanto qualche anno fa: il gusto per l’eccesso che tracimava dalle pagine del romanziere texano è molto simile a quello che il buon Don getta avidamente come benzina sul suo fuoco, arricchendolo con nonsense, mostri figli di effettacci indimenticabili – il pasticcio di carni protagonista di una delle prime sequenze è già un mio idolo – ed un gusto che oserei definire cronenberghiano per la mutazione fisica ed una violenza quasi gommosa, decisamente più virata al simpatico disgusto che non all’offesa e all’attacco stessi.
E proseguendo in questo senso passiamo dall’horror al thriller, dalla dipendenza dalle droghe ai viaggi tra dimensioni parallele, dai ragni giganti che sanno di giocattoloni a divertite citazioni di Eyes wide shut, da un nemico che pare uscito da Futurama a richiami a cult totali come Grosso guaio a Chinatown: certo, il lavoro di Coscarelli non è per tutti, e potrebbe sembrare talmente assurdo da essere bollato come sgangherato e ridicolo.
Ma il segreto è questo: John dies at the end è sgangherato e ridicolo.
La questione è che, se presi da un’altra angolazione, questi due aggettivi possono finire addirittura per suonare lusinghieri, in barba a tutte le convinzioni che i protagonisti ed il loro eroico alleato a quattro zampe si divertono a rompere e scavalcare dal primo all’ultimo minuto.
In fondo, appurato che “non sei tu a scegliere la salsa di soia, ma è la salsa di soia a scegliere te”, tutto apparirà più chiaro, quasi le porte della nostra percezione possano spalancarsi come quelle di David Wong, e godere del divertimento fin oltre quello che parrebbe il finale, lasciando come scia una voglia neanche troppo sotterranea di caramelle gommose e cucina cinese, peperoncino piccante e qualche bibita dal sapore dolciastro ed esotico.
John dies at the end è un piccolo gioiellino che avrebbe fatto impazzire tutti i registi grindhouse – per dirla “alla Tarantino” -, Ed Wood e Mario Bava, e che senza dubbio è destinato a diventare un cult per gli appassionati disposti ad accettare tutti i suoi scombinatissimi disequilibri: poco importa che non tutto quadri, che Giamatti gigioneggi – in fondo, è anche produttore, ci può stare – e che alcuni attori del cast non siano propriamente all’altezza, il risultato è un trip che se preso bene e dal verso giusto potrebbe regalarvi più soddisfazioni di quanto non si possa credere, e senza dubbio due ore scarse di intrattenimento senza ritegno che potrete seguire in scioltezza anche se doveste concedervi una bevuta importante.
Anzi, in quel caso forse assumerebbe contorni anche più incredibili.
La prima regola, comunque, è lasciarsi trasportare neanche ci trovassimo di fronte ad una grande pellicola fondata sulla Meraviglia che è la linfa vitale della settima arte: l’unica differenza starà nel fatto che, invece della stessa linfa, qui si tratterà della già citata salsa di soia.
Ricordate bene, però, che è lei a scegliere voi, e non voi a scegliere lei.
John dies at the end è un film dal quale farsi scegliere, allergico ad ogni regola che gli si possa imporre in quanto spettatori e, dunque, in qualche modo critici: perdetevici senza troppe preoccupazioni, e tanto basterà.
Qui al Saloon, anche per questo, gli si vuole già tanto bene.
MrFord
"I am still the skeptic yes you know me
been best friends and will be till we die
I got an injection
of fear from the abduction
my best friend thinks I'm just telling lies."Blink 182 - "Aliens exist" -
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