John Fitzgerald Kennedy Uomo simbolo del XX secolo (II parte)

Creato il 24 agosto 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

Photo credit: U.S. Embassy New Delhi / Foter / CC BY-ND

Ore 12:30 del 22 novembre 1963. Dallas. L’auto presidenziale, scortata dall’aeroporto Love Field, dov’era da poco atterrato l’Air Force One, procedeva verso il centro della città texana. La visita del presidente a Dallas era dovuta alla raccolta dei consensi necessari alla ricandidatura per l’anno successivo, sebbene – fra le altre intenzioni – fosse piuttosto importante tacere le controversie politiche da poco generatesi all’interno del Partito democratico texano. Sull’auto presidenziale viaggiavano il John F. Kennedy, insieme alla moglie Jacqueline, e il governatore texano Connally con la consorte. Così, mentre la vettura – una Lincoln Continental del ’61 – procedeva facendosi strada tra la folla festante, si udirono improvvisamente tre o quattro spari provenire da un edificio nei pressi della Dealy Plaza. Uno di quegli spari esplosi colpì alla testa il presidente, che si accasciò privo di sensi. Portato d’urgenza al Parkland Memorial Hospital, Kennedy morì poco dopo. Lo stesso governatore Connally, a seguito dei colpi, riportò gravi ferite.
Subito iniziò un’autentica caccia all’uomo, all’attentatore, all’assassino, a chi in un attimo aveva del tutto infranto il “sogno americano”. Si arrivò di lì a poco all’arresto di un operaio – ritenuto psicolabile – che adoperando un fucile di fabbricazione italiana (il Mannlicher Carcano cal. 6,5) avrebbe fatto fuoco sulla vettura del presidente. Sebbene particolarmente esperto, in quanto ex tiratore scelto dei marines, Lee Harvey Oswald resistette alle accuse contestategli, negando ogni addebito sulla tragica vicenda. Nonostante ciò, le prove raccolte sul suo conto furono tali da procedere all’arresto. La sua colpevolezza, tuttavia, non sarà mai definitivamente riconosciuta, in quanto L. H. Oswald non giungerà vivo al processo. Un paio di giorni dopo l’arresto, infatti, mentre era sulla strada per la prigione della contea, venne brutalmente freddato dal gestore di un night club, un certo Jack Ruby. Intorno a quest’ultimo si aprirono presto le indagini, le quali portarono alla seguente considerazione: “Individuo psicolabile in collegamento con la malavita organizzata”.

Photo credit: NASA on The Commons / Foter

A succedere sulla poltrona della Casa Bianca, dopo l’attentato di Dallas, sarà Lyndon Johnson, vice di JFK. Per gettar luce sulla vicenda venne istituita una Commissione d’inchiesta guidata dallo stesso Presidente della Corte Suprema, Earl Warren. La storiografia moderna ricorderà di certo l’entità delle indagini che vennero a nascere di lì a poco. L’Fbi parlò addirittura di 550 interrogatori e più di 25mila interviste. Le indagini proseguirono per un anno intero, ininterrottamente, senza mai conoscere una tregua.
Trascorso un anno dall’attentato, la Commissione d’inchiesta riconobbe come unico attentatore del 35° Presidente degli Stati Uniti quel Lee Harvey Oswald che aveva sparato da un palazzo della Dealy Plaza. Il palazzo in questione era la Texas School Book, e la finestra da dove sarebbe dovuto provenire lo sparo era al sesto piano dell’edificio.
Al di là delle prove raccolte, degli interrogatori e delle interviste avvenute e di quanto deliberato dalla Commissione d’inchiesta, ad oggi – per molti – il caso sull’attentato di Dallas a J. F. Kennedy è tutt’altro che chiuso. Molti sono i favorevoli alla teoria del complotto: fra questi la principale obiezione consiste nella strana e tortuosa traiettoria che il singolo proiettile dell’assassinio avrebbe dovuto percorrere per ferire e uccidere il presidente e, successivamente, colpire anche il deputato che gli sedeva affianco. Insomma, chi pensa ciò si domanda: “Come può un solo proiettile aver causato ben sette ferite al presidente?”.
Su questa linea, più di dieci anno dopo l’attentato, nel settembre del 1976, una Commissione HSCA, nominata dalla Camera dei Rappresentanti, cercò di fugare ogni dubbio in merito. Ristudiò la documentazione prodotta dalla Commissione d’inchiesta di Warren, e infine parlò di un “probabile complotto”, senza azzardare troppo, giacché sprovvista di prove inconfutabili e distante dal chiarire le molteplici ed eventuali complicità.

Photo credit: The National Archives UK / Foter

Tra le varie ipotesi, si arrivò a pensare all’esistenza di un quarto colpo esploso da tutt’altro luogo -probabilmente da una collinetta poco lontana- e dunque presupponendo la presenza di un secondo tiratore. Non si riuscì del resto a provare tutto ciò con certezza, in quanto non si arrivò mai ad identificare questo eventuale secondo tiratore. Da questa ipotesi ci si allontanò col tempo, dal momento che le indagini successive provarono l’utilizzo di un’unica arma da fuoco, appunto il fucile Mannlicher Carcano cal. 6,5 adoperato da L. H. Oswald.
Il contesto mediatico e sociopolitico di quel momento storico fece subito pensare ad un complotto ordito sia all’interno che all’esterno degli Stati Uniti, considerate le forti e significative tensioni sociali derivate dalla Guerra Fredda. Si parlò ben presto di coinvolgimenti internazionali, di collaborazioni parallele fra servizi segreti, generando un’inevitabile confusione nell’opinione pubblica. Quest’ultima, specialmente in America, rimase tremendamente scossa, quasi da temere l’insorgere a breve di un ennesimo conflitto mondiale contro gli Stati Uniti.

Così, mentre le televisioni e la stampa continuavano a portare sullo schermo e in prima pagina le immagini del nuovo presidente L. Johnson, sul fronte opposto si intensificò a dismisura la produzione di materiale da parte degli studiosi “complottisti”, ovvero di quanti – al di là dei risultati delle indagini – proseguivano nella convinzione che il presidente Kennedy fosse stato ucciso a causa di un vero e proprio complotto. Gli studi dei “complottisti” facevano leva sulle incongruenze e le possibili “contraddizioni” presenti all’interno dei fascicoli prodotti dalla Commissione d’inchiesta, nonché dalle conclusioni – forse affrettate – a cui era giunta la seconda Commissione HSCA.

Photo credit: NASA on The Commons / Foter

A ciò, poi, si sarebbero aggiunte le testimonianze raccolte durante le indagini: testimonianze ritenute del tutto incoerenti. Si arrivò dunque a parlare di “cospirazione”, ma in assenza di prove attendibili tutto decadde sul nascere. Soltanto dall’ottobre 2017 si potranno finalmente consultare gli ultimi documenti redatti sull’attentato di Dallas. Per ora non ci resta che convivere coi chiaroscuri della vicenda texana.

Articolo di Stefano Boscolo


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