“La persona che ami è fatta per il 72,8% d’acqua e non piove da settimane”.
L’incipit di “Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?” di John Harstad, uno dei libri più compiutamente leggeri e col senso del quotidiano che abbia mai letto. Non vorrei esagerare, ma era da “Alta Fedeltà” di Nick Hornby che un libro non mi risultava così terapeutico senza per questo essere un mattone nichilista (che sarebbe poi il mio genere preferito).
Avrei dovuto cercare di fare qualcos’altro?
Non avevo ambizioni?
Ne avevo invece.
Sognavo le stesse cose che sogni tu. Anch’io volevo viaggiare, avere un lavoro che mi appassionasse, anch’io volevo vedere Praga, vivere un anno in Guatemala, aiutare i contadini con il raccolto e mettermi a posto la coscienza, salvare la foresta pluviale, ripulire le spiagge dal petrolio, anch’io volevo portare al parlamento quel partito, invece che questo. Anch’io volevo impegnarmi per il bene di tutti. Anch’io volevo essere utile.
Ma non volevo essere d’intralcio. A quelli che volevano stare in prima fila, visibili a tutti: niente di male, onore e gloria a quelli che osano, a quelli che non mollano mai, e si vede, quelli che salvano la compagnia aerea dalla bancarotta, che hanno il coraggio di buttar fuori migliaia di persone e di prendersi le telefonate d’odio la notte, a quelli che dicono che se ne occuperanno loro, quando nessun altro è disposto a farlo.
Anche loro ruote dell’ingranaggio. Né più né meno importanti, semplicemente più visibili. Solo che io non avevo nessun bisogno di farmi vedere, di sentirmi dire quanto ero bravo. Perché sapevo benissimo quanto lo ero.