La prima recensione dell’anno riguarda un doppio concerto di due artisti britannici che si stanno facendo conoscere in giro per il Regno Unito e l’Europa grazie a un genere tradizionale, il cantautorato, e grazie al personaggio di Alan McGee, che li ha scoperti: Pete Macleod e John Lennon McCullagh.
Entrambi gli artisti si sono presentati sul palco del Covo Club, venerdì 10 dicembre, per farci ascoltare brani tratti dai loro album e qualche nota citazione di spunto Britpop, Rock’n'Roll, Popular e, ovviamente, Folk.
A iniziare la stagione concertistica del Covo ci pensa Pete Macleod, cantautore di Glasgow, che ha proposto brani di “Rolling Stone”, il suo album d’esordio, e che ha catturato l’attenzione del pubblico grazie ai suoi tour: da spalla a Ocean Colour Scene e Shed Seven; con altri concerti da headliner accompagnato da Bonehead (ex Oasis).
Il suo songwriting è ovviamente legato alle sonorità e alle influenze britanniche, in particolar modo a: Oasis, Stone Roses, Beatles e Smiths (per qualche giro di chitarra che mi ricordavano un certo Johnny Marr…).
Si parla, quindi, di un genere (pop) piuttosto orecchiabile, semplice e armonioso, del resto il duo chitarra-voce regala alle liriche maggiore significato.
Pete Macleod racconta in maniera piuttosto suggestiva le sue storie, buttandoci in mezzo qualche parola di “I Wanna Be Adored” (Stone Roses) e di “Wonderwall” (Oasis): la serata è quella della Cool Britannia, quindi non si può che apprezzare.
Un bravo cantautore e concerto ben realizzato, sia per la buona presenza scenica che per il suo songwriting diretto e, a volte, davvero delicato.
Dopo pochi minuti sale sul palco John Lennon McCullagh: stile British dal capello-a-fungo ai piedi e uno di quelli della nuova generazione di musicisti (Strypes, Mellor, 45′s) che amano tanto il sound del passato, nonostante abbiano ancora tanto da imparare.
Questo ragazzino sedicenne di Doncaster si presenta sul palco accompagnato da una chitarra e dalle sue tre armoniche, eseguendo canzoni del suo album d’esordio “North South Divide” e una bellissima cover di “We Belong Together” di Ritchie Valens che fa tornare, anche per pochi istanti, agli anni ’60.
A differenza del primo cantautore salito sul palco, J.L. McCullagh è un songwriter più vicino alla tradizione folk\popular, ricordandoci che la sua fonte d’ispirazione principale è Bob Dylan.
Il suo colore vocale fa riferimento ad altri artisti da “revival”, tra cui Miles Kane e Jake Bugg, ma, a differenza di questi, John ci aggiunge la forza della Protest Song e, quindi, inserisce nei suoi testi dei messaggi a sfondo politico e sociale, più pensati e su cui riflettere.
J.L. McCullagh dimostra di essere un musicista più deciso e valido in concerto, rispetto ad album, dato che ha “quel qualcosa” (le canzoni che trasmettono emozioni, la competenza, il carisma, la passione) che gli permette di esprimersi al meglio quando si trova su un palco.
Non voglio esagerare, perché ne deve fare ancora tanta di strada, ma John Lennon McCullagh rappresenta per davvero la voce di una nuova generazione.