Cougar ci ha donato più capolavori di quanto ci saremmo aspettati, con Uh-Uh (1983), Scarecrow (1985), The Lonesome Jubilee (1987), dopo di che quella che aveva da dire lo ha detto. Ancora un poker di belle canzoni, nascoste fra i tanti filler di Big Daddy, Whenever We Wanted, Human Wheels e Dance Naked, prima che la spia della riserva si accendesse.
Come accade a volte quando l’ispirazione cala, è aumentata l’arroganza, e la spocchia di rifugiarsi nelle serissime e accademiche radici musica folk americana, dalle parti di Seeger Sessions di Springsteen, ma con risultati immensamente più modesti. In più Mellencamp (che, nel frattempo, aveva ripudiato il bel soprannome felino da rocker) è antipatico, come abbiamo scoperto a Vigevano, nel corso di un troppo sofferto concerto. Così personalmente non mi è costato riporlo nel cassetto dei ricordi. D’altra parte, ci sarà ben stato un buon motivo se il suo soprannome è “Little Bastard”, il piccolo bastardo…
Però siccome il cronista deve essere obiettivo, c’è da ammettere che il suo nuovo Plain Spoken è decisamente meglio che mediocre, addirittura decisamente piacevole. Acustico, essenziale, minimale negli arrangiamenti, è forse scontato e senza tante sorprese, ma si lascia ascoltare che è un piacere. Ed una canzone, Tears In Vain, è addirittura bella, come ai tempi (e Freedom of Speech ci va vicino). Un pezzo ispirato, romantico e malinconico che non manca di portarmi alla mente il rimpianto Calvin Russell.
Accomodatevi all'ascolto se avete nostalgia di John “Cougar” “Little Bastard” Mellencamp e degli anni ottanta, quando tutti eravamo più giovani e belli e si correva contro il vento.