2001: John Q. di Nick Cassavetes
uscita usa: 15 febbraio 2002 uscita italia: 10 maggio 2002
Un film che giustamente non ha entusiasmato la critica.
“Per denunciare una realtà così grave Nick Cassavetes usa metodi strappalacrime e ricorre a colpi di scena assurdi, che escludono la possibilità di considerare il suo un film politicamente impegnato” (la Repubblica), “Film corretto, decolla ma non si alza molto” (MyMovies), “…spruzza qua e là colpi emotivi e conclude con un finale di grande soddisfazione. Per tutti. Impossibile non restarne coinvolti. Con indulgente simpatia” (il Morandini), “..la sceneggiatura di James Kearns è un incrocio fra E.R. e Quel pomeriggio di un giorno da cani. E la regia di Nick Cassavetes la illustra senza troppi guizzi e quel che è peggio senza crederci fino in fondo” (Il Messaggero), “Uno chiude gli occhi, conta fino a tre e si immagina cosa accadrà nella sequenza successiva…” (Film.tv.it), “Nonostante l’accumulo drammatico, il lavoro non è molto riuscito” (La Stampa).
All’inizio il film sembra promettere molto. Hollywood finalmente s’interessa della classe operaia e dei suoi problemi. Coraggiosa la polemica contro un sistema sanitario aberrante che rifiuta le cure a chi non può pagare (coraggioso perché metà dell’America è persuasa che così sia giusto… ne sa qualcosa l’attuale Presidente degli Stati Uniti). Presto però John Q. prende un’altra direzione. Si attua un mix di thriller-actionmovie-melodramma, si scivola nello stereotipato e nel retorico con situazioni e personaggi visti mille volte.
Un bambino ha bisogno urgente di un cuore nuovo, ma i medici che lo hanno in cura non possono metterlo in lista per il trapianto perchè la famiglia è sprovvista di un’assicurazione… Sicuramente una storia d’effetto ma l’impressione è che tutto sia stato studiato a tavolino per commuoverci e coinvolgerci (il che puntualmente avviene… Hollywood è una maga in questo): il risultato è che partecipiamo al dramma dei protagonisti ma proviamo -più di una volta- un senso di fastidio e di irritazione per la sensazione di essere trascinati a viva forza verso la meta prefigurata da regia e sceneggiatura: indignazione e lacrima facile.
Certo, il film è trascinante e Denzel Washington è di una bravura eccezionale, il cast è da encomio (un plauso particolare a Robert Duvall, misurato ed equilibrato come non mai in un personaggio di grande umanità), la tensione non manca, il ritmo è sostenuto…
Ma da un regista che porta un cognome così illustre ci si aspetterebbe di più… almeno uno stile più sobrio e asciutto.
p.s.
Particolarmente interessante quanto scrive Giorgio Simbula e che evidenzia una delle differenze sostanziali tra il nostro cinema e quello americano: “Il suo fondamentale ottimismo, la convinzione che l’uomo sia artefice del proprio destino, la consacrazione dell’eroe nonostante l’errore e la sconfitta, hanno permesso a questo filone «arrabbiato» di perpetuarsi, laddove il nostro cinema popolare, anche quando i suoi autori ancora osavano «scomodare i santi» ha sempre negato ai suoi personaggi (e al suo pubblico) la possibilità non solo di vincere, ma neppure di affrontare il potere. Un John Q diretto da un Risi (padre o figlio), o da un Lizzani, probabilmente si sarebbe concluso dove questo comincia: con la constatazione che la vita del figlio di un operaio nero vale meno di quella di un vecchio miliardario bianco”.