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“Johnny Guitar”

Creato il 03 ottobre 2011 da Cinemaleo

1954: Johnny Guitar di Nicholas Ray

 uscita usa: 26 maggio 1954  

“Johnny Guitar”
 
“Johnny Guitar”

Ammiratissimo da François Truffaut, Martin Scorsese, Wim Wenders, Jean-Luc Godard… un film che è entrato di diritto nella storia del cinema.

Tratto dall’omonimo romanzo di Roy Chanslor, Johnny Guitar (che molti critici preferiscono non qualificare «western» ma piuttosto un «dramma dalle tinte noir») “non è un film, è il cinema. È cinema allo stato puro. Nient’altro che il cinema. Scrisse Godard: “Ecco qualcosa che esiste solo attraverso il cinema, ecco qualco­sa che sarebbe nullo in un romanzo, sul palcoscenico, in qualsia­si altro posto, ma che sullo schermo diventa fantasticamente bello”. Insomma siamo di fronte a quei film che fanno amare il cinema, e cioè la vita. Che ti fanno venir voglia di vederlo e rivederlo, proprio come la persona amata. Che ad ogni visione ti fanno scoprire aspetti nuovi, elementi che prima avevi trascura­to, nuovi motivi per amare. Ci sono dei film che aiutano a vivere meglio, ad amare meglio. A vedere meglio. Questo è il regalo che Nicholas Ray e la sua troupe ci hanno fatto nel 1954” (SentieriSelvaggi).

Un film che ha fatto epoca e per più di un motivo (1). Non solo per la celeberrima canzone del titolo (scritta da Victor Young e Peggy Lee e interpretata dalla stessa Peggy Lee) e il bellissimo uso del colore dal valore altamente simbolico (2), ma soprattutto per il carattere sovversivo delle regole del western. Un western in cui a primeggiare fossero le figure femminili non si era mai visto (e mai si vedrà…). Un inno alla tolleranza, al diritto di effettuare libere scelte, all’amore incondizionato, alla forza delle donne… Quando mai si era realizzato un western che privilegiasse questi temi?

Straordinaria come non mai una delle più celebri e celebrate dive della Hollywood classica, una Joan Crawford “irripetibile, autrice di un’interpretazione letteralmente sconvolgente, in cui il vigoroso lavoro di mimica e tensione recitativa arrivano a minare anche le dinamiche della macchina da presa. La sua performance è talmente accentata da coprire quasi tutto…” (Antonello Comunale).

Un film giustamente celebratissimo ancora oggi dalla critica:

“Giudicato troppo eccentrico ed eccessivo quando uscì, è tenuto oggi per un capolavoro di lirismo barocco e di graffiante parodia sul maccartismo, la  «caccia alle streghe» comuniste, e sul puritanesimo repressivo” (il Morandini), “Un western molto importante perché capovolse numerosi cliché del genere. Famosissimo il tema musicale” (il Farinotti), “Intellettuale e complesso, torbido e cupo come una tragedia greca, segnato in profondità dall’interpretazione manierata di tutti i protagonisti e straziante nel suo disperato romanticismo” (Cinzia Ricci), Johnny Guitar brucia di passione e di un irrefrenabile amore per il cinema: ancora oggi conserva intatte tutte le qualità della poetica di questo piccolo gigante della settima arte, che risponde al nome di Nicholas Ray… Un’opera che ha più le caratteristiche di un dramma elisabettiano, che non quelle di un classico film sulla frontiera” (Sentireascoltare.com).

p.s.

Nel 2008 Johnny Guitar è stato scelto per essere preservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.

note

(1)   Dove fu girato, Sedona in Arizona, c’è un museo dedicato a questo film.

(2)   La fotografia del film è caratterizzata da colori intensi e particolarmente saturi, soprattutto il rosso e il nero. Questo dipende dal procedimento tecnico allora usato per lo sviluppo della pellicola: il film fu girato in Tru-color, un brevetto della Republic Pictures, casa produttrice del film. Nel 1954 infatti non era ancora stato standardizzato il processo di stampa (che verrà poi brevettato dalla Eastman Kodak) e ogni società produttrice si serviva di una propria tecnica. Il regista Nicholas Ray si servì comunque di questa particolare gamma di colori come di una cifra stilistica, che gli permetteva di accentuare i contrasti psicologici e di connotare drammaticamente determinate scene, come ad esempio quella in cui Vienna indossa un vestito bianco e si staglia contro uno sfondo di rocce rossastre. Per evitare la dominante blu tipica del Tru-color, ad esempio, Ray volle che nelle scene non venisse inserito nessun elemento di colore blu ed evitò il più possibile l’utilizzo dei fondali all’interno dei teatri di posa, girando tutte le scene all’aperto in veri esterni” (Ciak, anno IV n° 4, aprile 1988). “Nicholas Ray, insieme al fotografo Harry Streadling, ha dato vita ai colori più iperrealisti della storia del genere” (Federico Chiacchiari).

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