Ha da poco compito 67 anni Johnny Winter, nato il 23 febbraio del 1944. Ho avuto la fortuna di vederlo dal vivo nel 2008, e penso che riproporre quel momento sia un bel modo per ricordarlo e ... fare a lui i migliori auguri.
Martedì 15 luglio ho visto un concerto indimenticabile. Johnny Winter, uno degli eroi di Woodstock, era a Savona, Fortezza del Priamar.
Qualche nota biografica.
Nato e cresciuto a Beaumont (Texas) la città famosa per la “corsa all’oro”, ascolta molto la radio locale diventando un cultore del Rock & Roll, del Blues rurale e Cajun. Le tensioni sono molto forti nella città che aveva ospitato la più grave rivolta razziale nella storia del Texas, con l’esecuzione effettiva della legge marziale; ma Johnny è ben accetto nella comunità nera perché ritenuto sincero e genuinamente posseduto dal Blues. Nel 1962 riesce a salire sul palco di B.B. King e suonare la sua chitarra, ricevendo grandi ovazioni dal pubblico. Forma un power trio con il batterista Uncle John Turner e il bassista Tommy Shannon (in seguito solida colonna dei Double Trouble di Stevie Ray Vaughan), che lo assecondava nelle sue sfuriate selvagge eppure così legate alla tradizione. Autenticamente devoto al Delta Blues, nelle sue vene scorre il Country Blues di Robert Johnson che mescola costantemente al British Blues–Rock e il Rock dell’America del Sud a la Allman Brothers. Durante gli anni ’70 e ’80 il chitarrista e cantante albino, scheletrico e dedito alle droghe, si apprestava a rilanciare la carriera dei suoi idoli Muddy Waters e John Lee Hooker. Ha il grande merito di aver introdotto il gigante Blues Muddy Waters alle nuove generazioni di ascoltatori producendo e suonando la chitarra in parecchi suoi album. Le collaborazioni sono state di un tale successo che Waters si è spesso riferito a Johnny come al suo figlio adottivo. Winter ha lavorato con la Columbia più di un decennio pubblicando album memorabili quali “Johnny Winter And” (1970), “Still Alive and Well” (1973) e “John Dawson Winter III” (1974). La sua recente nomination al Grammy con il disco della Virgin/EMI “I’m A Bluesman”, ha esteso ancora la sua già grande reputazione raccontando questa volta la sua stessa storia.
Ed ora le mie impressioni del concerto, già pubblicate su "MENTELOCALE".
Mai come in questa occasione il titolo della rubrica, “Io C’ero”, fu azzeccato. E’ qualcosa di più che l’amore per il blues a farmi avvicinare a questo concerto. Ricordo perfettamente quando, da adolescente, la copertina di Ciao 2001 proponeva la foto di Johnny Winter, musicista albino che, attraverso i lunghi capelli bianchi colpiva la fantasia di noi ragazzi, affascinati dai personaggi, non solo dalla musica.
E poi, trovarsi davanti un musicista che ha suonato a Woodstock non è roba per tutti .
Ma io c’ero!
Ancora una premessa… piacevole.
Mi ritrovo alla fortezza del Priamar a una settimana di distanza dal concerto di Sheryl Crow e devo evidenziare un’enorme differenza di comportamento della security.
Non so se dipenda dall’organizzazione differente, o sia volontà dell’artista, ma qui sembra sia permesso tutto ciò che era noiosamente vietato qualche giorno prima.
E’ possibile fotografare, è possibile filmare e, ad un certo punto della serata, è possibile persino superare la barriera che divide il palco dalle prime sedie.
Tutto ciò provoca un “travaso “umano che aumenta sino a riempire a “tappo” lo spazio da “keep out”.
La gente ha voglia di ballare, di muoversi, di avere un contatto diretto con Johnny, e alcuni si fanno fotografare dal basso, riempiendo l’inquadratura col chitarrista in piena performance.
Un ragazzo più … agitato, riesce persino a guadagnare il palco e ad abbracciare il chitarrista, che continua, noncurante della dimostrazione di affetto, e in questo caso gli addetti alla sicurezza intervengono, ma senza eccessiva rigidità.
Non c’e’ il pienone al Priamar, ed è un vero peccato che certe occasioni vengano buttate al vento. Ad aprire la serata un figlio d’arte,John Lee Hooker.JR
Meriterebbe spazio adeguato perché non parlo di un comprimario del blues e, sul palco lui dimostra il suo valore.
Uomo di spettacolo, capace di coinvolgere un pubblico ancora freddo, dirige una band molto giovane (il chitarrista sembra un bimbo) che spazia dal blues al funky, passando per il R & B.
Dimostra in diverse occasioni di sapere di essere a Savona (non è scontato per chi viaggia e suona in continuazione) e di amare l’Italia.
Qualcuno dal pubblico (il solito esagitato che avrà poi il coraggio di salire on stage) gli grida :”Boom Boom Boom”,vecchio cavallo di battaglia del padre, e lui risponde:”Certo, 10volte, 11 volte…” lasciando intendere ironicamente che non è previsto.
Ma alla fine “Boom..” arriverà, col pubblico pronto a battere le mani ritmicamente, accontentando il volere di Hooker.
Molto bravi e gente soddisfatta.
John si dirige verso il banco del merchandise, per firmare personalmente i suoi CD, mentre sul palco viene sistemata la sedia per Winter.
Passano pochi minuti ed ecco la nuova band.
Quattro musicisti che attaccano con grande vigore, con un bravo chitarrista che suonerà solo in due occasioni, inizio e fine concerto.
Al termine del primo brano viene annunciato, con estrema enfasi , l’arrivo di Johnny Winter.
E’ una grande emozione per me.
Arriva traballante, camminando con grande fatica.
E’ pelle e ossa, e sotto al suo cappello nero l’antica chioma non sembra aver perso il suo fascino.
Pare sia quasi cieco e pieno di problemi fisici, ma … è sul palco.
Spesso ho immaginato di poter realizzare i miei sogni, con una bacchetta magica, e il dubbio è sempre stato…”calciatore o musicista?” Vedere un uomo avanti con l’età, pieno di acciacchi seri, dopo una vita condotta al limite, e soprattutto con tali fantastici risultati, mi fa pensare che questo sia un “grande mestiere”, capace di dare energia a chi lo pratica e soddisfazione a chi lo “subisce”.
Lo spettacolo inizia ed è un’evoluzione continua che porta da un primo atteggiamento distaccato di Winter (ma forse non è la parola giusta), sino ad una situazione di fluidità e interattività tra noi presenti e un uomo che, nonostante calchi la scena da più lustri, trova ancora il contenuto entusiasmo per fornire un grande spettacolo.
Le sue dita volano sulla sua particolare (bruttina ma efficace) chitarra e la velocità sulla tastiera provoca valanghe di note che nascondono qualche errore veniale.
Anche la voce perde ogni tanto la tonalità, ma mi pare mantenga una certa potenza e la timbrica di un tempo.
I sui famosi riff si susseguono mentre il suo blues pervade l’anima dei presenti.
Arriva anche il momento del tributo ad Hendrix e ancora una volta Woodstook ritorna tra di noi.
Ad un certo punto ha tutti ai suoi piedi, a pochi passi da lui.
E un’immagine molto bella, un segno che va oltre l’esibizionismo, debolezza umana, ma l’immagine diventa un’icona, col vecchio musicista idolatrato dai suoi sostenitori.
Certo, è un pubblico ben disposto, presente per amore del blues e di chi ne è stato protagonista attivo, ma la scena è da album dei ricordi.
Si arriva alla fine, lui si alza a fatica e si allontana salutando.
Ho pensato all’impossibilità di un bis, viste le difficolta’ nel camminare.
Ma Johnny è nuovamente tra noi e ci sciorina la tecnica di cui è forse il massimo esponente: la slide guitar.
Lo ammiro da pochi metri, provando sentimenti differenti: ammirazione per la grande abilità, stupore per la capacità di trasmettere emozioni, tenerezza immaginando alle difficoltà in cui si trova, felicità di poter dire, “anche io c’ero!”. Indimenticabile!
Le ultime parole famose:"Scavare sotto terra per cercare petrolio? Siete pazzi?". (Gli esperti della compagnia mineraria per il primo progetto di trivellazione petrolifera, 1859)