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José Maria Valverde (1926-1996)

Da Paolo Statuti
José Maria Valverde

José Maria Valverde

Poeta e studioso spagnolo. Fu una delle principali voci della letteratura spagnola del XX secolo. Cominciò a scrivere poesie all’età di 13 anni e pubblicò la sua prima raccolta Hombre de Dios nel 1945, quando era studente all’università di Madrid. Il suo secondo libro di poesie La espera (1949) vinse il Premio Nazionale José Antonio Primo de Rivera. Fu lettore di spagnolo a Roma, professore di estetica dal 1955 all’università di Barcellona. Nel 1965, per dissensi politici, si trasferì negli USA e in Canada. Rientrò in Spagna nel 1977 riprendendo l’insegnamento. Negli anni in cui insegnò all’estero, pubblicò El profesor de espanol (1971) e Ensenanzas de le edad: poesia 1945-1970 (1971), che include molti dei suoi primi lavori e una nuova serie intitolata Anos inciertos. Suoi temi prediletti sono la vita quotidiana, la religione e la famiglia. Muovendo dal neoclassicismo del gruppo di Garcilaso, la sua poesia si approfondì nella ricerca di una posizione di fede, non esente da influsssi esistenzialistici. Nel 1990 uscì un suo volume di Poesias reunidas. Notevoli i suoi saggi estetici (Estudios sobre la palabra poética, 1952; G. de Humboldt y la filosofia del lenguaje, 1955; Azorìn, 1971). Tradusse in spagnolo opere di James Joyce, Herman Melville, William Shakespeare, Johann Wolfgang Goethe, Rainer Maria Rilke. Un suo grande contributo come studioso fu la Historia de la literatura universal (1957) in dieci volumi, scritta in collaborazione con Martin de Riquer.

Ecco una sua bella poesia nella mia versione:

Salmo iniziale

Signore, non sei con me anche se ti nomino sempre.

Sei là, tra le nubi, dove la mia voce non giunge,

e se a volte risorgi, come il sole dopo la pioggia,

ci sono notti in cui riesco appena a pensare che esisti.

Sei una città dietro le montagne.

Sei un mare lontano che a volte non si sente.

Non sei dentro di me. Sento il tuo vuoto nero

divorare le mie viscere, come una bocca affamata.

E per questo, Signore, ti nomino costantemente,

e per questo collego le cose al tuo nome,

dando loro latitudine e longitudine di Te.

Se tu fossi con me io parlerei di cose,

di cose e niente più, semplici e nude,

del cielo, della brezza, dell’amore e della pena.

Come un amante felice che dice solamente: “Guarda

che uccello, che rosa, che sole, che limpida sera”,

e riversa così, nella luce dei nomi, il suo amore.

E invece no. Tu mi manchi. E per questo ti nomino.

Ti inseguo nel bosco dietro ad ogni tronco.

Ti cerco nel fondo delle acque senza luce.

O cose, fatevi da parte, datemi alfine la sua presenza

che tenete nascosta nel vostro seno oscuro!

Marcato dal tuo ferro, vago per le pianure,

abbandonato, inutile come una pecora sola…

Uomo di Dio mi chiamo. Ma sono senza Dio.

(Versione di Paolo Statuti)

(C) Paolo Statuti

  



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