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Josef von Sternberg

Creato il 01 gennaio 2013 da Frank_manila
Josef von Sternberg
Il primo post dell'anno lo voglio dedicare a uno dei più particolari registi della storia del cinema. Un uomo che ha vissuto la settima arte nella sua più completa totalità, uno che ha conosciuto praticamente tutto, l'uomo che ha plasmato a suo piacimento Marlene Dietrich rendendola una diva e che, come spiega anche in uno dei passi della sua autobiografia qui sotto, ha provato la miseria, la gloria e il fallimento svariate volte. È un post anomalo e inusuale, ma comunque molto significativo. 
Nel primo passo che trovate qua sotto, von Sternberg parla della sua vita e del perché si reputa un conoscitore delle masse. Nel secondo invece parla del cinema e in particolare del perché lui non adulasse gli attori, categoria che definiva "scimmie".
Meglio lasciare la parola a Josef von Sternberg e a quanto scritto in Follie in una lavanderia cinese.
 La massa è un'entità estremamente primitiva e la mia considerazione non è quella di un amatore disinteressato. L'ho studiata a fondo sia dall'esterno che dall'interno. Le mie opinioni non saltano fuori da una tavola Ouijia. Sono stato senzatetto e ho abitato dei portoni. Avevo in tasca un osso da rosicchiare quando avevo fame e ho mangiato e bevuto a ricevimenti ufficiali in una dozzina di nazioni. Ho dormito nei vagoni merce come un vagabondo e ho attraversato gli Stati Uniti su un treno privato. Ho mangiato di tutto, dalle croste di pane secco alle pinne di squalo. Ho provato l'esaltazione del successo improvviso e lo schianto del fallimento, almeno una dozzina di volte. Ho sentito le urla di chi stava annegando quando una giunca cinese fu spezzata in due dalla Chichibu Maru, che girò una volta intorno al relitto ma non si fermò perché portava la posta. Ero presente quanso S.S. Eastman si rovesciò sul fiume Chicago a dieci piedi dalla riva mentre faceva scendere un migliaio di donne e bambini per una gita all'obitorio e piansi quando i corpi furono portati via nei container uno dopo l'altro. Ho visto vittime ammassate nei treni attraverso la Polonia, ho visto gente dietro ai sigilli della polizia di New York quando gli operai tessili, con i vestiti in fiamme, si schiantavano sul suolo nel vano tentativo di sfuggire alle fiamme che invadevano il loro piano. Ho assistito ai raduni di anarchici e sono stato quasi calpestato dalla polizia a cavallo mentre li disperdeva a forza di manganellate. Ho preso il tram senza fare il biglietto, ho raggiunto gli angoli remoti della terra, ho camminato scalzo quando non avevo le scarpe e sono stato ospite di famiglie reali. Nonostante abbia abbandonato la scuola all'età di quindici anni ho insegnato in una grande università. Ho visto centinaia di funerali solenni e altrettanti matrimoni caotici nelle strade cinesi, in Messico un toro è stato battezzato con il mio nome, sono stato ricevuto da alti prelati e sono stato consultato da membri del parlamento britannico. Ho preso il caffè con una donna che veniva dritta dal covo di un dittatore che voleva conquistare il mondo e ho bevuto il tè con un'altra che aveva appena lasciato un potente sovrano che si faceva la pedicure mentre firmava la sua abdicazione. Ho condotto orchestre, composto musica, ispirato canzoni, costruito case, inciso il legno, ho esposto nei musei i miei quadri e le mie sculture, ho armeggiato con i motori, ho giocato con maestri di fama internazionale, ho barato a Macao e a Montecarlo, sono stato nell'esercito, ho collezionato migliaia di libri e una volta sono stato abulico per mesi senza sapere come uscirne. Sono stato in un sanatorio di Haiti, dove i malati venivano incatenati al muro. Fui abbracciato da una vecchia, convinta di essere mia madre, che cercò di vendermi un vestito che diceva di aver cucito con ago e filo e che solo lei era in grado di vedere. I rappresentanti della vecchia nobiltà mi correvano dietro, le concubine di sovrani destituiti avrebbero fatto di tutto per avermi, eppure ricordo che rimasi tremante per ore in una strada, nella speranza di incrociare lo sguardo distratto della ragazza che credevo di amare. Attraversai l'oceano su un cargo bestiame e mi vennero le piaghe da congelamento quando non c'era legna da ardere. Un bel giorno mi donarono un ramo di un vecchio albero sotto cui, si diceva, si era addormentato Confucio. Trascorsi una settimana in un villaggio in cui evocavano gli spiriti dei morti, ho assistito a una messa in Vaticano, sono stato al Muro del pianto a Gerusalemme, ho ascoltato il canto del muezzin che annunciava ai fedeli l'inizio delle preghiere, ho attraversato la giungla insieme a dei bonzi che elemosinavano il riso con una ciotola vuota, ho girato le ruote delle preghiere tibetane, ho tirato le funi e ho battuto le mani negli altari di Shinto, mi hanno assalito le scimmie del tempio di Durga a Benares, sono stato in un eremo sulle montagne e ho fatto il bagno nel Gange, in presenza di cadaveri che bruciavano. Ho conosciuto l'avarizia, l'invidia, la gola, l'accidia, la lussuria, la superbia e l'ira, così come molte sgradevoli virtù. Mi hanno puntato contro delle pistole, ho assistito a operazioni delicate e ne sono stato l'oggetto. Ho sofferto e ho causato sofferenze. Ho rispettato chi non mi rispettava e, temo, ho mancato di rispetto a chi meritava maggiori attenzioni. Ho vissuto in abitazioni così affollate da farti soffocare e ho sperimentato la vita ascetica dell'eremita in cui potevo sentire il battito del mio cuore. Ho fatto la guardia ai bambini contro i rapitori e sono stato rapito io stesso. Ho assistito all'eruzione dei vulcani, sono stato in mezzo a uragani e tifoni, ho volato attraverso nubi sinistre sulla giungla della Malesia con un pilota fuori di testa, ho affrontato tempeste di sabbia, bufere, inondazioni, ho sentito più volte la terra tremare, sono stato in bordelli, in fumerie d'oppio e in istituti per ciechi. Anche se taccio le esperienze più suggestive, ho provato tutte queste cose che dovrebbero avermi reso un analista affidabile della massa e degli individui che ne fanno parte. Comunque non ho la pretesa di convincere nessuno. 
 La natura del nostro lavoro è tale che ogni passo deve essere calcolato in base alle spese. Nel budget non c'è spazio per i ripensamenti del regista. Il mio lavoro mi soddisfa raramente, perché esso consiste in una serie di compromessi con me stesso e con gli altri. Se una scena non riesce a rispecchiare la mia intenzione, il tempo che ho a disposizione per modificarla è estremamente limitato. Solo dopo che sono riuscito a conformare la recitazione degli attori all'idea di partenza posso raggiungere l'effetto che desidero. Un film si realizza nella convinzione che un regista sappia sempre quale sia la cosa migliore da fare, in qualunque occasione. Ciò è assurdo. Nessuno è capace di fare sempre la scelta giusta. Giorno dopo giorno si realizzano piccoli segmenti di film, spesso senza alcuna relazione l'uno con l'altro, e la coesione, il flusso – e la cosa più importante, i valori astratti che devono emergere – diventano evidenti solo quando la pellicola ha subito il trattamento delle forbici e della colla. Niente di ciò che accade è automatico e neanche coerente. Su ogni movimento aleggia lo spettro del pubblico da accontentare, pena la preclusione di fare altri film. Il mongolo che scende dal cammello per scambiare i suoi cinquanta mung in cambio di un'occhiatina al film potrebbe rivelarsi l'arbitro finale. Non è un'iperbole, si può trovare l'equivalente in ogni sala cinematografica. Un film non è come un'automobile, anche se è composto da molte parti. Il fotogramma deve racchiudere l'attore. Si evoca lo sfondo, ogni raggio di luce aggiunge o sottrae, si frappone la ribalta, la stessa aria diviene parte del risultato finale. Si chiede all'attore di scavare nella propria coscienza per trarne qualcosa di singolare e non banale. Quello che emerge potrebbe non andare bene e il risultato non è sempre degno di nota. La ricerca di valori non si limita a ciò che l'obiettivo è in grado di vedere. La materia deve essere manipolata, l'immagine e il suono devono adattarsi a seguire un percorso non battuto. Dall'inizio alla fine non c'è altro che improvvisazione. Quello che rimane deve essere montato molto dopo la fine delle riprese, compresso e dilatato in un ritmo percepibile solo indistintamente. Come si fa ad applaudire un attore ogni volta che apre bocca? Normalmente il mio commento alla fine di una scena consiste in “Va bene, proviamo con la prossima”. Trattare un adulto come un bambino non significa aiutarlo.
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