Jack Harrington è uno psicanalista di discreto successo che vive a Londra, divorziato da una moglie (Ellie) che gli ha lasciato in eredità il rimorso e molte domande senza risposta. Per professione Jack è un tipo particolare di ascoltatore: capta le mezze frasi, le cose non dette, le mezze verità che trapelano dal fondale di vite spezzate.
Come quella di sua sorella Kate, figura affascinante quanto fragile, che al minimo soffio di vento si aggrappa a lui e che ha non poche responsabilità nel divorzio di suo fratello. Ma la vicenda di Ricostruzioni, questo splendido romanzo di Josephine Hart - levigato come il pomo di una spada antica- è più complessa e il lettore dev'essere lasciato libero di scoprire da sè che cosa nasconde la vita dei suoi protagonisti.
Uscito in Inghilterra nel 2001 e in traduzione italiana l'anno seguente, The reconstructionist (questo il titolo originale) non sorprenderà chi ha apprezzato, a suo tempo, Il Danno. Ma lo porterà in un universo meno statico, per quanto sempre elegante e illusoriamente patinato, e ricco di sottintesi.
La critica, nel corso del tempo, ha messo in luce quanto ci sia di rigoroso e di coerente nell'elaborazione dello stile di questa scrittrice priva di esibizionismi (anche personali) e di quel bisogno di apparire che non l'ha mai qualificata: sotto i riflettori c'era già da tempo, e ha preferito dedicarsi alla poesia - ma come poetessa in Italia è praticamente sconosciuta.
Anche le tecniche letterarie di Josephine Hart in Ricostruzioni prendono forme nuove: nel capitolo quinto, per esempio, utilizza il testo di una conferenza per anticipare alcuni aspetti della storia e per interrogare il lettore su qualcosa che va al di là della letteratura: "Fino a che profondità dovremmo spingerci nell'esame di noi stessi e del nostro passato? Ne comprendiamo i pericoli? Ci rendiamo conto che è possibile affogare nel moi profond? Anzi, che è possibile cadere e sparire nel proprio passato?"
La fede nella verità è una strana malattia, specialmente se si proviene dalla conoscenza del dolore. Non dovremmo dimenticare, noi lettori, certe leggi del nostro essere, anche le più scomode e sgradevoli, come sembra suggerirci il personaggio che, chiudendo la sua lettera ai posteri (il suo testamento?) scrive queste righe destinate ad avverarsi lungo il corso del romanzo: "L'autenticità, il più delle volte, è una chimera".