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HK, colore, 110 minuti Regia: Stephen Chow, Chi-Kin Kwok Sceneggiatura: Stephen Chow, Chi Keung Fung, Xi Huo, Ivy Kong, Chi-Kin Kwok, Shig-Cheung Lee, Zhengyu Lu, Yun Wang
Non c’era dubbio che il ritorno di Stephen Chow potesse fare tanto baccano, Journey to the West: Conquering the Demons sbanca i botteghini e si porta a casa critiche sfavillanti mostrandosi pellicola ricca di sfumature tanto nel suo essere prequel del dittico insuperabile di A Chinese Odissey, e quindi omaggiando simbolicamente e strutturalmente il capolavoro assoluto di Jeff Lau che vedeva proprio Stephen Chow come protagonista, tanto nel portare un gran bagaglio di freschezza comica e visiva nel trasportare in immagini uno dei più gradi classici della letteratura cinese.
Nel seguire quindi le tragicomiche peripezie dell’aspirante monaco buddista Xuanzang, volenteroso ma fin troppo onesto cacciatore di demoni, si rimbalza felicemente tra mitologia e arti marziali, folklore ed epicità drammatica, ironia caciarona e tanta azione, con quell’approccio slaptstick e surreale che da sempre si riconosce nel cinema di Chow, che qui dirige in coppia con il bravo Chi-Kin Kwok e scrive la stravagante sceneggiatura con altre 14 mani (!). Pesci giganti, cinghiali mostruosi, scimmie vendicative e Buddha giganteschi rappresentano il bestiario contro cui si ritrova a combattere il tenace e sfortunato Xuanzang, in una girandola sempre vispa e colorita di botte, combattimenti, trappole, inseguimenti e simpatica violenza, il tutto costruito con una struttura semi-episodica, dove alla ricerca e alla sconfitta di un demone ne segue un’altra dotata di vicenda propria, per quanto alla fine la trama complessiva trovi adeguato collegamento in virtù del mega-boss finale.
Piace moltissimo la bizzarra storia d’amore che si viene a creare tra Xuanzang e la collega Bai Gu Jing, si esce dai soliti schemi sentimentali con una lei tenacissima e scoppiettante nello scovare idee su idee pur di conquistare il timido e refrattario monaco – ne nascono momenti di ispiratissima commedia (il rapimento nel bosco e tutto quello che ne consegue) anche senza per forza ricorrere alle strampalate esagerazioni narrative o ai collaudati tecnicismi visivi tipici di Chow. La pellicola, infatti, forse proprio per la co-regia con Kwok che crea un ibrido vincente ed equilibrato, scorre ritmata e veloce, sicura e decisa in una sequenza di ottime scene magistralmente pensate e dirette (il divertentissimo scontro con il demone-pesce) e raggiunge il culmine con la superlativa, planetaria e potentissima ending battle, dove la pazzia di Chow, nonostante una CG che appare vecchiotta e finta, fuoriesce nella sua, letterale, grandezza.
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