Art barocco, pop barocco, pop progressivo, freak-folkettronica da cameretta: Julia Holter s'inserisce in quella sterminata scia di cantautrici moderne dedite alla rivisitazione ostinata di certi stili risalenti alla fine degli anni settanta e che hanno visto Kate Bush indubbiamente come principale precorritrice. Niente di nuovo quindi, se non fosse che la Holter sembra essere più di qualche spanna sopra - per classe e per stile - alle varie Soap & Skin, Austra, Chelsea Wolfe, Grimes e chi più ne ha più ne metta. Non c'è niente di nuovo, come detto, in "Ekstasis": a renderlo molto bello è principalmente la bravura della Holter, che manipola i suoni zuccherosi appartenenti a certo dream pop tanto di moda oggigiorno (vedi M83) riarrangiandoli però secondo un'ottica quasi avanguardistica (il brano "Boy in the moon" ne è un esempio). Alle volte sembra di cogliere in lei qualcosa che consideravamo passato, superato, come le aperture dei synth quasi mai sempre sulla stessa scala (Vangelis insegna) o come l'inframezzarsi di certi suoni appartenenti al mondo acustico-concreto, in opposizione a quello elettronico-sognante che pervade tutto il disco. Si vedano sotto quest'ottica gli inserimenti di certi strumenti a fiato stile Bill Laswell, oppure certe sonorità (sempre filtrate o campionate, però) che rimandano ai Popol Vuh di Hosianna.L'atmosfera sognante e sfocata, suggerita dalla copertina, è quasi univocamente la caratteristica principale del disco. L'obiettivo della sua autrice è far cadere l'ascoltatore in uno stato di trans patafisica senza ritorno. Ogni brano ha una sua idea di fondo intorno alla quale gira il vociare della Holter e tutto un insieme di scelte musicali inafferrabili perché mai ripetute in modo ostinato da renderle riconoscibili alla fine così come lo erano all'inizio del pezzo-canzone.
Il sogno si spezza solo al termine del disco. Si esce dal viaggio meditativo quasi senza avere ripercorso un "viaggio inverso" di presa di coscienza necessario per un risveglio senza traumi.




