Magazine Diario personale

Julian Barnes – Il pedante in cucina

Creato il 13 luglio 2015 da Povna @povna

No, non è venerdì, ma la ‘povna parla di libri lo stesso, perché la crociera al nord le ha riportato indietro un cospicuo bottino, accumulato nelle soste di cambio dei cavalli (nella stazione centrale e nella stazione nota, rispettivamente), e soprattutto un librino che aveva ordinato a Thelma (che lo edita) già nella sua precedente trasferta, ma che, per un disguido, non era potuto arrivare nelle sue mani avide a tempo e luogo.
Questa volta però sì (anche perché nel mezzo sono passati anche tre mesi, va detto), e così, di ritorno dalla festa di compleanno di Spersa (molto figa, in un posto molto bello, dove si beve anche benissimo, e dove la ‘povna ha avuto la fortuna di conoscere un sacco di Spersa-amici, che sono in media persone eccezionali, semplicemente – tanto che ne hanno ricavato come morale il fatto che ben presto si dovrà organizzare, allo scopo di continuare proficuamente le chiacchiere, qualche altro etto di occasioni per vedersi), alla quale si è recata direttamente dal treno (previo giusto un pit-stop a casa della festeggiata, per vestirsi entrambe gnocche), la ‘povna arriva a casa e, oltre al gatto Semolino (che la aspetta) e a Thelma (invece già ronfante dentro il letto) si trova la sua copia del Pedante in cucina in bella vista, e non può fare a meno di attaccarlo immediatamente, almeno un po’, anche se è l’una del mattino.
Libro d’occasione quanti altri mai, in questo lieve volumetto Julian Barnes raccoglie (e Guido Tommasi – una delle case editrici di cucina più importanti, nel settore, e anche culturalmente più avvertite, la ‘povna vorrebbe aggiungere – traduce e pubblica) alcuni pezzi di gastro-letteratura pubblicati originariamente sul Guardian Review. Il filo conduttore, come si comprende fin dal titolo, tradotto fedelmente (The Pedant in the Kitchen, recita la raccolta originale), è quella di una passione culinaria da Barnes enunciata con malcelato orgoglio ma insieme tenuta sotto traccia: il gusto dell’amante del buon cibo che, proprio per questo, è destinato prima o poi a improvvisarsi prima, e farsi poi cuoco in prima persona: per sé, certo, ma soprattutto per gli affetti (Colei per la Quale il Pedante Cucina – così è definita tra le pagine, e si tratta[va] della moglie Pat, con ogni evidenza) e per gli amici.
Seguendo questo sottile filo rosso, quello che lega, e spiega, ciò che spinge un normale avventore di buoni ristoranti (o erede, è il caso di Barnes, di una solida tradizione materna di economia domestica) ad avventurarsi nel campo della prova, prima cauta, poi sempre più consapevole, di intingoli e ricette, Barnes spiega il proprio approccio alla cucina, dalla spesa (uno dei capitoli più duri, per la vita di qualunque cuoco fai-da-te, sostiene il Pedante) all’acquisto degli utensili (indimenticabile la descrizione del cassetto delle inutilità, specchio fedele di tanti scomparti che quasi chiunque possiede nella propria casa, a custodire scheletri): da ciò che spinge ad assaggiare (e volere o meno riprodurre) piatti strani o esotici, agli ingredienti, di socialità, prima ancora che di materie prime, che presiedono alla riuscita davvero entusiasmante per tutti (cuochi inclusi) di una cena tra amici. Tra una battuta e un understatement, però – Barnes non è letterato a caso, del resto – a farla da padrone restano comunque loro, i libri di cucina (e i loro autori), su tutti e tutto: ed è così che la relazione tra il grande chef improvvisatosi autore per un giorno e gli aspiranti emuli si trasforma, sotto la penna acuta e consapevole di Barnes, in quella tra autore e lettore. Nel campo che gli è più caro e familiare, e che dunque con grande maestria maneggia, Barnes si muove con l’agio solo fintamente titubante di chi dalle parole è abituato a cavare il necessario per camparsi l’esistenza, e proprio per questo – se sul terreno della cucina la sfida è dichiarata persa in partenza (Barnes non può, né tanto meno vuole, andare a incalzare il podio di chi fa un mestiere diverso dal suo, e dunque non può che farlo meglio) – il rapporto sul piano della scrittura si rovescia, è Barnes è fare ermeneutica di stile e testi, in una relazione che diventa, infine, da pari a pari.
I grandi classici della tradizione culinaria vengono così passati al setaccio più per il modo di scrivere (e di proporsi dunque al pubblico) – quelli di Barnes non sono pezzi su ristoranti, ma su libri, è bene sempre ricordarlo – e il lettore che abbia voglia di seguirlo tra allusioni e giochi di parole ha modo di riflettere, insieme all’autore inglese, su un curioso e sempre più diffuso fenomeno sociale. Vale a dire quello dell’invasione del cibo, in ogni forma, nell’immaginario quotidiano medio occidentale, dilagante: e in questo Barnes ha buon gioco a sottolineare, pur sempre in punta di penna e di forchetta, tutta la serie di fighetterie (le foto patinate, l’impaginazione easy, l’evocazione di questo o quel locale trendy), che riesce ad adescare, pescando sul niente, un numero sempre più sterminato di sodali. Da questo punto di vista, bersaglio costante della penna di Bernes, pur non esplicitato, appare dunque una ben precisa tipologia di possibile lettore (o cuoco della domenica), cioè la fitta schiera di improvvisati e dilettanti allo sbaraglio che, sul tema cibo, proliferano quotidianamente: dal conduttore TV alla casalinga di ritorno, che, in nome e per conto di un preteso professionismo che non hanno (né tanto meno possono raggiungere), sfruttando ogni canale comunicativo, salgono quotidianamente in cattedra – tenendo pagine, blog, corsi di cucina per la parrocchia, rubriche su Facebook, con ciò scatenando l’ironia bonaria del Pedante che, dal canto suo, ben conscio di avere tra le mani un mestiere redditizio e professionalmente appagante (un altro), non fa mistero di accontentarsi della sua frequentazione da amateur, senza mistiche oltranziste, di un mondo che, da cliente gourmet di ristorante, è ben contento di lasciare in mano a figure professionali.


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