“Dalla presidenza dell’AFA mi porteranno fuori con i piedi davanti”
Solo con il suo decesso all’età di 82 anni si è interrotta la più lunga presidenza nella storia dell’AFA e di qualsiasi federazione calcistica del mondo, durata ben tre decenni e mezzo tra trionfi, scandali, violenza, conflitti e un’impressionante continuità nel potere
Todo pasa. Recitava così quell’insegna sul suo inseparabile anello, il suo motto. Todo pasa, tutto passa e se ne va.
A 19 giorni dalla terza finale mondiale della nazionale argentina sotto la sua gestione, alla vigilia di quello che doveva essere l’inizio dell’ultimo torneo corto della storia del calcio nazionale(rinviato di una settimana) e nel mezzo di una tempesta finanziaria che sembra ormai imminente a Buenos Aires e dintorni , Julio Humberto Grondona è spirato all’età di 82 anni. 35 di questi li ha trascorsi al comando, dietro la scrivania più importante di calle Viamonte 1366 nella città di Buenos Aires, la sede del Asociación del Fútbol Argentino, la federcalcio del paese sudamericano che Don Julio ha presieduto fin dal 1979, quando in Argentina comandava ancora il terrorismo di stato della giunta militare di Jorge Rafael Videla, quella delle torture e dei 35 mila desaparecidos.
GLI INIZI - Fu per volontà del viceammiraglio dell’Armada, Carlos Alberto Lacoste, già presidente della AFA e ministro del welfare durante la dittatura, che Julio Grondona assunse la carica di presidente della federazione il 6 aprile del 1979. Lacoste d’altra parte stava per assumere la vicepresidenza della FIFA e si apprestava addirittura a ricoprire l’incarico di presidente della nazione durante il 1981, seppur per soli 11 giorni. Fu questo membro di una delle dittature più sanguinarie dell’America Latina contemporanea a sponsorizzare l’ascesa di Grondona al vertice del calcio nazionale. Nato nel 1931 e comproprietario del ferramenta di famiglia nella cittadina di Sarandì, Grondona prima fu presidente dell’Arsenal de Sarandí dal 1956(data della fondazione del club) al 1976, e successivamente assunse la massima carica dirigenziale nell’Independiente. La presidenza del club di Avellaneda, pluricampione della Libertadores, lo avvicinò alle alte sfere della federazione. Lacoste lo promosse tesoriere dell’AFA e uno dei massimi responsabili nella gestione dell’EAM ‘78, Ente Autárquico Mundial ’78, l’entità deputata ad organizzare il mondiale argentino di cui Lacoste divenne presidente dopo la misteriosa morte di Omar Actis, precedentemente designato per l’incarico. Le spese folli dell’EAM ‘78 furono accertate solo anni dopo grazie all’inchiesta del giornalista Ezequiel Fernandez Moores, che quantificò in 576 milioni di dollari l’ammontare degli investimenti totali per il Mondiale ’78, molti dei quali a tutto servirono tranne che a finanziare le infrastrutture del torneo.
LE RIFORME DEL CALCIO NAZIONALE - 4 presidenti de facto e 9 presidenti democraticamente eletti sono passati mentre Don Julio rimaneva trincerato sulla poltrona più importante dell’Argentina del pallone, ma Grondona sapeva che era attraverso lo stato che poteva consolidare il suo potere. Attraverso ingenti finanziamenti provenienti dalla casa di governo, Grondona ha poi fatto perno sui piccoli club, sia di Capital e Gran Buenos Aires, che su quelli dell’Interior per mantenersi in sella. In questo senso sono da vedere la riforma della B nel 1986, che da Metropolitana è passata ad essere Nacional, con l’inclusione di molte squadre dell’entroterra ed anche le altre riforme dei tornei di Prima Divisione. In primo luogo quella del 1990, che stabilì la disputa di due tornei corti per ogni stagione, permettendo a varie realtà minori di raggiungere la gloria(Banfield, Lanús, Argentinos, Arsenál, squadra questa di cui è fondatore e il cui è presidente è il figlio Julito ). Ha cercato contemporaneamente di proteggere gli interessi dei 5 grandi con il sistema del promedio, la media dei punti conquistati in 3 stagioni, che però non ha evitato che il River nel 2011 e l’Independiente nel 2013 retrocedessero.
Proprio al capo delle due clamorose discese agli inferi di due grandissimi come il Millonario e il Rojo, si è decisa una sterzata ancora più clamorosa quest’anno: 30 squadre nella massima categoria dal 2015, con torneo unico da marzo a dicembre e appena 2 retrocessioni, sempre basate sul sistema della media punti.
E’ grazie a questo equilibrio creato nei rapporti con le diverse realtà del calcio nazionale e alle eccellenti relazioni mantenute con il potere politico che Julio Humberto Grondona è riuscio a farsi rieleggere per ben 7 mandati, anche se non sempre all’insegna della piena trasparenza “Il potere non è mio. Me lo danno. Gli altri sentono che ho potere e questo è ciò che conta”.
LA VIOLENZA, I BARRAS BRAVAS E IL FUTBOL PARA TODOS - 150 sono le vittime della violenza del calcio argentino che si sono registrate durante l’era Grondona. Facendo due conti, significa una media superiore alle quattro vittime per anno in fatti violenti legati al circo calcistico gestito da Don Julio. Il mantenimento della struttura pubblica dei club, senza proprietà privata e gestiti da dirigenti eletti direttamente dai soci delle istituzioni, ha fondamentalmente favorito l’ascesa prepotente dei barras bravas. Questi, più che dei comuni ultras in stile europeo, possono essere definiti come personaggi violenti e di profilo mafioso legati alle tifoserie dei club, con una vasta rete di interessi illeciti. Si fanno forti attraverso la propria condizione di soci del club e grazie a contatti importanti con alcuni membri della dirigenza, strumenti mediante i quali esercitano un notevole potere estorsivo e di corruzione, gli permettono mantenere un’influenza forte, basata sul ricatto e la violenza. I divieti alle trasferte imposti a più riprese, la tessera AFA Plus(tessera del tifoso) , sono dei palliativi che non hanno portato nessun frutto: il divieto al pubblico visitante resterà vigente nel Torneo di Transicción
Aldilà di questo clima di violenza latente, la struttura pubblica dei club ha inoltre pesantemente indebitato le squadre argentine con lo stato: sono circa 50 milioni di dollari quelli che le varie istituzioni devono al fisco argentino. Il Fútbol Para Todos, il programma di trasmissione in chiaro di tutte le partite del campionato argentino attraverso la televisione pubblica e tutti gli altri canali legati alla sua piattaforma, non è riuscito a frenare questa tendenza. Anzi ha avuto il demerito di AUMENTARE IL CARICO FISCALE DEI CITTADINI, poiché gli spazi pubblicitari durante le partite dei tornei di prima e seconda divisione NON SONO APERTI ALLA PUBBLICITA’ PRIVATA, quindi i soldi per il calcio gli mette lo Stato, ergo i cittadini. Di certo la nuova crisi di insolvenza sul debito estero che affronta il Paese obbligherà il governo a rivedere questo meccanismo, inaugurato da Grondona, Cristina Kirchner e Maradona in pompa magna nell’agosto del 2009 e che pose fine in modo unilaterale al monopolio di Torneos y Competencias.
LA FIFA, LA NAZIONALE ,IL RAPPORTO CON MARADONA E L’ULTIMO NO DI SABELLA - Il potere di Julio Grondona non si è espresso esclusivamente all’interno delle frontiere nazionali: a partire dal 1988 è stato vicepresidente senior della FIFA, membro di 8 commissioni e presidente dell’importantissima Commissione delle Finanze. Quest’ultima entrò nell’occhio del ciclone dopo gli scandali ISL e Kirch Media, i cui crack tra il 2001 e 2002 posero in marcia delle investigazioni della giustizia svizzera su presunte tangenti incassate da dirigenti FIFA per facilitare la compravendita dei diritti televisivi dei mondiali 2002 e 2006, ma Grondona ne rimase totalmente immune, così come Blatter e Havelange. Delfino di Lacoste nell’AFA, Grondona sponsorizzò l’ascesa del viceammiraglio alla vicepresidenza della FIFA nel 1980, nonostante i legami con il terrorismo di stato e i sospetti contro di lui circa il coinvolgimento nell’omicidio/’suicidio’ di Actis.
Durante la sua presidenza il calcio argentino a livello di nazionali ha raggiunto il suo zenit: a livello di selezione mmagiore secondo mondiale vinto nel 1986, i vice campionati del 1990 e del 2014, le Copa América del 1991 e del 1993 e quindi a livello giovanile tutti i 6 titoli mondiali under 20(1979, 1995, 1997, 2001, 2005 e 2007) gli ori olimpici del 2004 e del 2008 e l’argento del 1996.
Il rapporto con Maradona un altalena costante: al massimo nell’era Bilardo, quando il Pibe de Oro era il capitano e leader assoluto della selección, crollarono in seguito alla positività all’efedrina di Diego durante il mondiale americano, dopo il quale Don Julio abbandonò completamente Maradona, lasciato solo di fronte alla commissione di Zurigo che ne decise la seconda squalifica per doping della carriera, questa volta per 18 mesi.
Le accuse di Diego contro la corruzione nel calcio argentino e la gestione dispotica della AFA sono seguite fino al 2009, quando scoppiò la pace e Maradona fu scelto come CT dopo il fallimento del Basile bis. Dopo la batosta di Sudafrica 2010 contro la Germania, Grondona era propenso a confermare l’ex fuoriclasse del Napoli alla guida della nazionale, ma il presidente dell’AFA non gradiva la presenza nello staff tecnico di Alejandro Mancuso, pomo della nuova discordia tra il Pibe de Oro e Don Julio, che sfociò nell’abbandono della panchina da parte di Diego, anche se in molti parlarono allora di un esonero mascherato. La proclamazione di Messi quale miglior 10 della storia del calcio fatta da Grondona nel 2013 è parsa l’ultima stoccata dell’ottuagenario presidente contro l’ex capitano e ct.
Il fallimento della generazione 86 si fece palese con la Copa América del 2011 in casa, dove l’Argentina uscì ai rigori nei quarti contro l’Uruguay, sotto la guida di un altro protagonista di Messico ‘86, Sergio Batista.
Il resto è storia recentissima: la gestione di Alejandro Sabella, il ritorno dell’Argentina tra le prime quattro del mondo e in una finale mondiale dopo 24 anni. Un risultato non disprezzabile, ma che non è bastato per convincere Pachorra a proseguire la sua avventura sulla panchina dell’albiceleste. Quell’ultimo rifiuto è stato il simbolico punto finale alla vita di Grondona.
Todo pasa…e anche Don Julio è passato.