Sembra anche come se l'insieme di immagini del tarocco fossero discese a distanza dagli archetipi dell'inconscio collettivo. (Jung)
La psiche individuale è contenuta in immagini, in simbolismi strani. E quando accettiamo di vedere " la nostra prima figura con cui l'inconscio si presenta alla coscienza", faremmo meglio ad assumerne i tratti con riferimento a quell' esempio nascosto, arche-tipico, che nell'uomo svolge perenne una "funzione direttiva", un esito sovrapersonale.
Di fatto gli "archetipi" (o simboli della trasformazione) incidono l'essenza individuale di ciascuno di noi, operano come "boati interiori", strappando dalle viscere il senso della domanda posta in seno all'esistenza: Chi realmente siamo?
Dobbiamo capire che gli archetipi stanno "al mondo" assai prima dell'uomo, sono attivi e organizzati. Con essi crepa l'idea totale di persona, la maschera che recita il suo tram tram scompare. Lo chiariremo forse più in là cosa un archetipo ti fa. Vivi d'aneddoti. Scompari. Comprendi il segreto e nello stesso istante ti lasci andare.
Il caos è la partitura su cui è scritta la realtà. (Miller)
POETICA DELL'IMMAGINE
Se Joyce nell' Ulisse - scritto a partire dall'anno 1914 e pubblicato nel 1921 - poteva chiedersi: "Chi mi ha scelto questa faccia?", allo stesso modo Carl Gustav Jung, in date più o meno coincidenti, tracciava lo schema di un inconscio affatto diverso da quello "visitato" da Freud. La sua era la prova, de facto, di un'intuizione paradossalmente più vicina ad una "poetica dell'immagine", cioè un(ri)costituire il quadro della psiche individuale come "frammento" della creazione più ampia, universale, collettiva.
Così è difficile dire quali contenuti possono esser definiti collettivi e quali personali. È indubbio, per esempio, che i simbolismi arcaici, come quelli che s'incontrano spessissimo nei sogni e nelle fantasie, sono fattori collettivi. Tutte le pulsioni fondamentali e gli aspetti fondamentali del pensiero e del sentimento sono collettivi. Tutto ciò sulla cui universalità gli uomini sono d'accordo è collettivo, e parimenti tutto ciò che è capito, detto o fatto da tutti. (Jung, L'Io e l'inconscio)
GLI ARCHETIPI DELL'INCONSCIO COLLETTIVO
Le domande in Jung volgono altrove: su quali basi l'individuazione (configurazione del Sé) può determinarsi, oppure: in che misura può essa stessa disgregarsi in virtù di contenuti con i quali la coscienza non sapeva nemmeno di avere a che fare?
Come accennato, lo studio approfondito delle mitologie e i simboli alchemici proiettarono l'antropologo svizzero verso una differente visione dell'inconscio. La sua teoria evidenzia forze "pulsive", funzioni psichiche che "saldamente fondate", "trascendono l'elemento personale" indirizzandone lo sviluppo, poiché all'uomo si presentano - e con lui interagiscono - in quanto forme già date, dunque
Queste funzioni sono chiaramente i cosiddetti Archetipi: " grandezze vitali che esercitano un'attrazione sulla coscienza", operano sulla Persona...
... ma come dice il nome, essa è solo una maschera della psiche collettiva, una maschera che simula l'individualità, che fa credere agli altri che chi la porta sia individuale (ed egli stesso lo crede), mentre non si tratta che di una parte rappresentata a teatro, nella quale parla la psiche collettiva. (Jung, L'Io e l'inconscio)
TU CHIAMALE SE VUOI... EMOZIONI
Del resto, non è in virtù della "semplice figurazione simbolica", o di segni che tracciano figure percepibili come arcaiche, che l'archetipo si mostra, rivelando la sua influenza. Ciò accade semmai in forza delle mille ed una sensazione che inconsciamente avvertiamo nel guardarne o presentirne "l'espressione simbolica". Infatti, ci spiega Corrado Malanga:
Gli archetipi costruiscono il simbolo attraverso l'emozione che sono in grado di produrre nel mondo virtuale (lobo sinistro del cervello, ossia Tempo Spazio Energia).
In questo senso IL SIMBOLO, che lo sguardo rapisce, possiede di fatto un substrato emotivo che viene percepito direttamente dall'inconscio, e con esso entriamo in comunicazione per risonanza.
È infatti questa stessa "emozione/sensazione" che ritroviamo nel linguaggio simbolico dei 22 Arcani. Essa ci parla, boato interiore manifesta "Un fracasso d'un suon pien di spavento". (Inf. VIIII, 65)
MEDITARE: L'ARTE DEI TAROCCHI
Le Carte hanno dunque la medesima funzione simbolica, sono la stessa espressione di una (re) visione perenne della psiche individuale, la cui caratteristica naturale consisterebbe nello stare sempre aperta, suggestiva, mai estinta.
In quest'ottica, lo ripetiamo, il processo simbolico (di comprensione-trasmutazione) sarà la domanda che vortica dal profondo, il buio di quella Terra, che deve portare tutti alla rinascita del corpo: Una Luce che apra il Fiore.
Meditare coi Tarocchi voleva pur dire - se vi ricordate! - creare spazio per un'altra visione del Sé, baluginante. Riflesso di luce, reflex in ogni direzione. "Chi sono io?". "Albedo!" Così la chiamavano gli alchimisti.
Tale irraggiamento dà luogo ad una specie di "mezzo" rifrangente, che riflette la luce diffusa intorno, per concentrarla sul nucleo spirituale del soggetto. Questo è il meccanismo dell'' illuminazione , di cui beneficiano coloro i quali hanno visto brillare la Stella Fiammeggiante. (Wirth, Il simbolismo ermetico)
I TAROCCHI: L'UTILIZZO
I Tarocchi, come gli archetipi dai quali "a distanza sono discesi", hanno valore d'esperienza in quanto capaci di evocare situazioni su base inconscia e percettiva. La loro azione è per questo inequivocabile, da che i contenuti sono l'universale patrimonio, non già mentale, ma fisico sensoriale dell'umanità. Il Tarocco stimola, suscita energie: opera simbolicamente attraverso l'emozione del consultante.
Vedete, l'uomo sempre ha sentito la necessità di trovare un accesso attraverso l'inconscio al significato di una condizione presente, perché c'è una sorta di corrispondenza o somiglianza fra la condizione prevalente e la condizione dell'inconscio collettivo. (Jung)
Come altrimenti potremmo spiegare la continua lettura e rilettura di questo strumento divinatorio che ha attraversato la storia come Libro non già scritto "in versi", bensì muto, senza grammatica e senza alcuna dialettica?
Solo l'immagine archetipica, comunicabile in virtù del sensitivo rapportarsi al mondo, sembra dar ragione al loro continuo potere evocativo, cioè: quel sentire che dà corpo all'esperienza personale, a quell'esperienza propriamente simbolica che di fatto - almeno stando alle tesi di Jung - ci attrae, ci direziona, oserei dire ci: im-persona.
"Chi ci ha dunque scelto questa faccia?".