Junk

Da Danielevecchiotti @danivecchiotti
foto:flickr

Il personal trainer che tanto si dà da fare per garantirmi una forma fisica decente mi toglierà il saluto, dopo questi cinque giorni da bostoniano. Lui suda come un matto sulle mie maniglie dell’amore, e sul quel filino di lipidi da trentaseienne, assai più ostinato e difficile da debellare della massa di grasso che arrotonda la pancia di un tricheco; passa ore a calibrare le calorie della mia dieta, dosando con sapienza proteine carboidrati e zuccheri; poi io vengo negli States per meno di una settimana e tutti i risultati di mesi e mesi di sacrifici e duro lavoro vengono vanificati con due cene.
Qui negli USA per prendere peso e invalidare anni di regime alimentare non è neanche necessario ingurgitare cibo; basta guardare le vetrine. Ogni piatto trasuda adipe, anche i piatti classificati come “healthy” appaiono come una celebrazione della pinguedine, e hai voglia a scappare o provare a resistere, alla fine l’indiscreto fascino del peccato ha sempre la meglio, e tu, che generalmente sei sempre ligissimo alle regole del mangiar bene, ti ritrovi a godere come un maiale pucciando le patatine dentro il ketchup con le dita tutte unte di maionese.
Una sera mi hanno portato in un ristorante della catena “Legal Seafood”, un nome che è già tutto un programma: frutti di mare legali. Avrebbe la pretesa di atteggiarsi a franchising dell’alimentare chic, ma anche questo, ahimé, è poco più di un Burger King che si è rifatto il trucco.
Mi sono state servite sei ostriche che sembravano lavate nell’acqua del water, e un’aragosta sicuramente costruita in laboratorio, visto il colore fluorescente e una forma talmente fumettosa che io un crostaceo del genere l’avevo visto solo ne “La Sirenetta” di Walt Disney.
E, tanto per fare un altro esempio, scrivo questo post su un tavolino del Food Court al Logan Airport mentre così, per ingannare il tempo, sgranocchio un Double Chocolate Cookie di Starbuck, una specie di biscotto formato pizza da seimila calorie che non mi fa essere poi tanto sicuro di riuscire a portare a termine la stesura dell’articolo, perché credo che potrei anche schiattare per diabete mellito lancinante al quarto morso.
Anche se, per quanto possa fare lo snob e tirarmela da gourmet protezionista della buona e sana cucina mediterranea, devo ammettere la mia debolezza, e confessare che resisto a tutto, ma non a un doppio cheeseburger con contorno di salsa barbecue. Che posso farci? Ognuno ha le sue debolezze, e McDonald’s è la mia.
Per fortuna ancora due ore e poi mi imbarco per tornare alla mia bresaolina e alla mia fesetta di tacchino con contorno di zucchine bollite. Per fortuna mi aspetta un meraviglioso volo di nove ore impreziosito dal superlativo servizio catering di Alitalia. “Biscotti o salatini?”, mi sussurrerà sorridente e sensuale la bella hostess dal reggiseno a punta. E io, già lo so, immediatamente avvertirò una bruciante nostalgia per il mio adorato, delizioso, ributtante junk food statunitense.


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