Era il 1993 e io ero un imberbe ragazzino di dieci anni, che già da qualche tempo usava frequentare il cinema la domenica pomeriggio. Ogni domenica, infatti, intorno alle 15 del pomeriggio con alcuni amici andavo alla sala di proiezione del mio paese (oggi chiusa, grazie ai mega multisala moderni) a vedere il film della settimana. E’ così che d’un tratto il caro Spielberg propose ai miei occhi il primissimo Jurassic Park. Un film che derivava da un sogno, più che da una storia, quello di veder convivere esseri umani e dinosauri (che per chi non lo sapesse non hanno mai calcato la terra nello stesso momento). Una pellicola che fece la storia del cinema degli anni ’90, seguito da due sequel orridi (aihmè). A distanza di 22 anni, però, l’amore per i dinosauri e la voglia di raccontare ancora una volta una storia simile, non si è esaurito. Nasce così il quarto capitolo della saga: Jurassic World.
A differenza del primo film, nel quale il parco non è ancora aperto al pubblico e la storia viene narrata durante una visita pre-apertura, in questa pellicola il parco a tema è attivo da anni. A metà film, inoltre, scopriamo che il parco è stato aperto sulla medesima isola del primo capitolo (mentre il II e il III sono ambientati su un’isola diversa, che serviva come allevamento di dinosauri). Protagonisti della vicenda sono due ragazzi, Zach e Grey, invitati a visitare il parco dalla zia Claire. Nel frattempo l’amministrazione del Jurassic World sta sviluppano una nuova attrazione, l’Indominus Rex, un ibrido creato per favorire nuove visite al parco. Quando qualcosa andrà storto con questo nuovo animale, a salvare la situazione arriverà Owen Grady, ex marines inviato sull’isola per addestrare Velociraptor.
Lo so. La trama che avete appena letto è piuttosto insulsa, ma la trama non è mai stato il punto forte dei film di questa saga, tutti molto incentrati sullo scappa-scappa dai dinosauri e sulla gente che viene mangiata. Questa pellicola non è da meno e, anzi, sembra quasi voler passare sopra le orme del primo film. I cliché del genere, infatti, ci sono praticamente tutti. Grey è il ragazzino piagnucoloso che non riesce a stare zitto un attimo. Zach è l’adolescente indolente che sotto sotto ha buon cuore. Claire è la stragnocca un po’ sulle sue. Owen è lo strafigo faccio-tutto-io. Vic è il cattivo che crede di essere furbo e invece alla fine se lo mangiano. Sono praticamente gli stessi personaggi del primo Jurassic Park, escludendo il fatto che non c’era nessuno che se la scoattasse come Chris Pratt che va in moto accanto ai Velociraptor e frega i fucili dalle mani della gente.Il film, alla fine dei giochi, risulta piuttosto piacevole alla vista, anche se il contenuto o l’originalità rasentano praticamente il vuoto cosmico. Come ogni pellicola del franchise, infatti, quello su cui dobbiamo concentrarci è lo scappa-scappa e niente di più; se qualcuno dei protagonisti prova a esprimere un concetto, potete anche far finta di nulla. La cosa è testimoniata dalla frase finale di Chris Pratt, quando guardando negli occhi la gnocca rossa gli dice “Ora, forse, staremo insieme…per sopravvivere”. Peccato che la cosa non abbia il minimo senso, ma vabbè.
Eroe indiscusso della pellicola, invece, è il Velocirator Blue (il cocco di casa di Owen/Chris), che verso la fine del film fa un cenno con la testa al suo padrone prima di attaccare l’Indominus, come a dire “Annatevene!!”. La pellicola, comunque, lascia spazio a un ulteriore sequel, visto che il ricercatore giapponese alla fine se ne va con un sacco di embrioni. Staremo a vedere.
Il mio consiglio è: andatelo a vedere ma senza alcuna pretesa di bellezza, perché il film non è bello, ma fa trascorrere un paio d’ore con la testa libera. Prima di sedervi in sala, assicuratevi che dietro di voi non ci siano dei ragazzini di 11 anni chiacchieroni, o vorrete alzarvi e staccargli un braccio come foste dei Dimorphodon appena scappati dalla voliera.