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Superata l'inutilità del terzo capitolo, ritorna il mondo creato da Crichton e Spielberg con "Jurassic World". Blockbuster divertentissimo, certo lontano anni luce dal sense of wonder dei primi due capitoli, eppure tutto improntato sulla ricostruzione di una magia e di una meraviglia ormai perdute.
Quasi un'opera fuori tempo, nostalgica tanto delle grandi avventure anni '90 quanto della fantascienza meravigliosamente ingenua degli anni '50.
In realtà il film di Colin Trevorrow si interroga lucidamente sul fattore intrattenimento e sullo stupore ai tempi della rete e del virtuale. La gestione del parco riflette, a tutti gli effetti, il tentativo di dar nuova linfa vitale alla saga: il semplice dinosauro "resuscitato" non basta più, bisogna che sia più grande, più spaventoso, più spettacolare.
Se più di vent'anni fa Jurassic Park era il primo vero baluardo di una CGI davvero sorprendente, oggi i tempi sono cambiati: si procede con ibridazioni, fusioni, combinazioni di DNA eterogenei. Si tratta di creare mostri mediatici. E il film, che non risparmia su facili machiettismi (il personaggio di Vicent D'Onofrio su tutti) e su situazioni saturissime, riesce comunque a infondere una certa idea di adrenalina e di tensione.
Con affettuose strizzatine d'occhio al primo capitolo (i due ragazzini vengono direttamente da un film di Spielberg), "Jurassic World" regala diverse splendide sequenze (come quella dell'operazione-raptor contro l'indominus rex). La comunicazione, la "chimica", il dialogo tra dinosauri, ci fanno precipitare in un mondo dove gli uomini sono una parte infinetisimale, inconsistente del tutto, mentre esseri enormi e primordiali si scontrano, in un finale che sembra continuamente fare il verso a Godzilla.
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