La ragazza K si era alzata in punta di piedi, aveva raggiunto il bagno e chiuso la finestra, era ancora buio e l’aria di settembre metteva i brividi addosso. Dando un’occhiata attorno -tutto era ancora fuori fuoco, meglio così- si era accucciata, e poi pulita e alzata senza tirare l’acqua, per non svegliare il vicinato la mattina di domenica. Una delicatezza rivolta a sé, per non rovinarsi il gusto dell’ultimo giorno senza molestie sonore. In tutta l’estate li avrà sentiti si e no due volte, di ritorno dai loro viaggi, due picchi di insensati decibel, e poi ancora altro silenzio.
Uscì dal bagno. Teneva le infradito tra le dita ma senza dare peso al buffo caso di omen nomen mattutino.
Se le infilò ai piedi, mise l’acqua del the nel bollitore, andò in balcone. Corolle chiuse, nuvole rade appena striate di un rosa incerto, voci di uccelli mattutini. Un motore lontano che si accendeva a intermittenza. Come si potesse fare giardinaggio prima dell’alba, non lo sapeva e non le interessava.
Tutto finisce oggi, pensò. Tuttavia non sarebbe sembrato.
Aspettò che il sole sorgesse. Come appoggiò la mano all’infisso per rientrare, vide la propria immagine riflessa. Pensò che quella cornice le donava. E che l’alba delle mattine di settembre era perfetta.
Phil Collins – Thru these walls