Sull’onda lunga di LUCCA COMICS & GAMES 2014 nell’ambito dello spazio di Letteratitudine dedicato a “Graphic Novel e Fumetti“, pubblichiamo il primo di alcuni contributi del nostro inviato a Lucca, Furio Detti. Quello che leggerete di seguito, è dedicato a Kabul Disco. Come non sono stato sequestrato in Afganistan (001 Edizioni) di Nicolas Wild.
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KABUL DISCO di Nicolas Wild
di Furio Detti
Gli manca l’aspra immediatezza di Joe Sacco, ma sa raccontare un aspetto inedito che latitava dal fumetto “impegnato”: il punto di vista interno a una ONG, diventata rapidamente agenzia media privata internazionale a Kabul. Naturalmente francese (alsaziano), Nicolas Wild in “Kabul Disco” Come non sono stato rapito in Afganistan ha una leggerezza tutta sua che lo rende piuttosto apprezzabile, come “non-rapito” assolutamente non illustre. Peccato per il claim, che fa un po’ troppo film ironico-demenziale anni ‘90 e che appartiene veramente alla versione originale del fumetto, ma la storia è proprio quella di un timido fumettista pericolosamente naif, finito quasi per scommessa al cuore di una delle più grandi guerre ininterrotte del Medio Oriente, cosa che lo avvicina al Guy Delisle di “Jerusalem”, “Shenzen”, “Pyongyang” e “Burma Chronicles”, ma solo un po’, sia chiaro.
La storia è, confronti illustri a parte, il discreto premio di queste 160 pagine più bonus fotografico, nell’edizione italiana della 001 Edizioni e proprio da questa ci piacerebbe partire per imbastire un consiglio di lettura, insieme con qualche riflessione agrodolce sul tema. I testi e i disegni di Wild raccontano un periodo di circa cinque mesi in Afganistan, fra il gennaio e il luglio 2005, in cui Wild lavora con alcuni compagni di una media company privata nata da una ONG incaricata della formazione giornalistica in loco. La missione è quella di fornire all’inizio materiale umanitario, propagandistico e informativo per la rinascita politica e sociale dell’Afganistan ex-Talebano. Purtroppo, a dispetto delle le sue originarie intenzioni e aspettative, Wild scoprirà di essere coinvolto in un’operazione di propaganda militare e mediatica da parte del governo afgano in combutta con le forze statunitensi, non proprio benvolute nell’area. Questo scatenerà alcuni malumori anche da parte del suo più spartano e rustico compagno di matita Tristan (presumiamo i nomi siano di comodo…). La storia culmina con le vicissitudini del gruppo di creativi e operatori dell’agenzia alle prese con l’instabilità di un paese ancora sull’orlo della guerra civile, fra rapimenti di amiche e operatrici di altre ONG e uccisioni di testimoni scomodi dei traffici di oppio, fra malintesi culturali e approcci a una differente umanità. Il punto di vista privilegiato e mai invadente di Wild non solo frutta l’iniziale serie di fumetti educativi per analfabeti, ma anche una narrazione fatta di momenti quotidiani e incontri inconsueti per le vie di Kabul, Herat, Jalalabad. Una vivida descrizione della vita “sospesa” di chi, da occidentale, opera in uno scenario tanto complesso e drammatico e soprattutto uno sguardo sull’esistenza normalmente precaria di un popolo che vive una guerra civile ininterrotta da decenni. Ristoranti in cui si cerca una Parigi lontana, ma si entra come a un posto di blocco, dopo la perquisizione col metal detector, trasbordi in silenzio e apprensione dentro minivan anonimi, coprifuoco e segregazione per ragioni di sicurezza nelle enclaves che ospitano gli stranieri, guardie armate che ti ricaricano la stufa di benzina e ti vegliano in caso di allerta, e last but not least bambine di cinque anni che vendono sigarette a fumettisti contro il lavoro minorile. Se si aggiungono delle digressioni tanto intelligenti quanto agili di storia e politica afgana, sempre recepite come segnali di fondo di un brutto gioco più vasto e incontrollabile, si ha una buona idea delle emozioni che si raccolgono sfogliando Kabul Disco.
La resa grafica è essenziale e non particolarmente creativa sul piano della composizione, impaginazione e inquadratura – altro difetto a nostro giudizio di questa e molte opere di graphic journalism. Sarà che l’obiettività del “bravo reporter”, premiata in altre recensioni italiane dell’opera[1], per noi non deve significare nudismo grafico, sarà che parliamo di fumetto, sarà che teniamo anche al virtuosismo, ma ci piacerebbe assistere anche a un’evoluzione grafica e creativa del genere che non perda freschezza, rigore e autenticità. Comunque, la gabbia a nove vignette regge il ritmo, con qualche inquadratura al vivo; i dialoghi sono buoni e mai forzati e la narrazione procede senza sbavature. Avremmo preferito più introspezione, ma rispettiamo anche lo stile molto concreto di Wild che confina all’ironia dei suoi sogni bizzarri l’evasione interiore dalla dura realtà afgana. La comicità sottile e pacata del personaggio è senza dubbio il tratto più personale di Kabul Disco. Le ultime considerazioni da fare sarebbero più critiche, perché questo fumetto getta luce anche su parecchi aspetti non esattamente edificanti delle attività umanitarie all’estero: sprechi, sfruttamento,frivolezza, indifferenza al contesto in cui si opera, scarsa equidistanza operativa e politica; l’immagine che emerge da Kabul Disco non è proprio esemplare, nonostante le buone intenzioni di ognuno. Non sarebbe male invocare e pretendere più rigore in certe realtà pur sempre alimentate dal denaro di tutti noi, ma questa è una questione solo suggerita e, per quanto molto importante, non imputabile all’opera documentaristica e umana di questo valido disegnatore alsaziano.
Nicolas WILD