Magazine Diario personale
Da lontano vedo Kabul. Il cielo di Kabul non è azzurro. In questo paese non potrà mai essere azzurro, ma solo di rosso sfumato di arancio, polvere gialla e fumo come i copertoni di un camion laggiù, dato alle fiamme. Tutto intorno non è solo dune e deserto. Io la vedo come una discarica: una differenziata all’aperto. Non c’è un angolo pulito: carcasse di auto, carogne di animali, rovine, carta e plastica di ogni colore. Le uniche dune veramente pulite sono quelle laggiù in lontananza. Sono fatte di sabbia finissima che al mattino splende al sole. Sono riflessi bellissimi. Fanno immaginare un futuro bellissimo. Sono proprio i contorni di quelle dune che ogni tanto portano la morte. Quanti cecchini di Talebani, come una giostra, si sono divertiti a colpire le nostre divise. Missione di pace, quanti di noi ormai riposano in pace. Ancora trenta giorni, poi a casa dove al mattino l’azzurro del cielo si confonde con il mio mare. Quell’odore di rosmarino, agrumi e pizza, si mescola con i miei versi: Quante parole scritte, quasi sussurrate, lette e rilette, per parlare di ciò che sento. Le mie pubblicazioni, i primi premi. Quante domande, perché lo fai? Anche qui tra un arrivo e la morte, ogni tanto prendo la biro e l’agenda, spesso per parlare del niente. Ma è più forte di me. Quello che sento non può andare disperso. Molte volte penso, se non si ricorda, si vive per niente. Molte volte mi chiedo se sono qui e non scrivo del mentre, cosa resterà dell’amico spappolato e piegato per aver voluto e illuso di portare l’aiuto. Certe volte mi dico: chi se frega, se la vedessero loro. Così tra i se e i ma, come sempre, prendo l’agenda, la mia compagna di viaggio e scrivo. Ho imparato a scrivere, non è difficile, basta riportare tutto quello che passa per la testa. Basta trovare le parole giuste per comprendere il perché il cuore non batte sempre allo stesso modo. Prima di affidare le mie emozioni alle pagine di un block-notes. Le ho vissute intensamente e sempre ricordate. Nessuno evento è mai passato inosservato, senza che ne ascoltassi il senso.Quando si è piccoli, ci si immedesima in eroi per sentirsi più grandi e invincibili. Da grande, come noi soldati, si cerca di fare cose da eroi. Ma quanti di noi sono veramente in grado di essere almeno veri uomini? Dimenticavo, mi chiamo Giorgio, sono nato in una terra povera. Da noi considerata una terra povera, mentre qui è ancora peggio. Quando ho deciso di fare il soldato, l’ho fatto soprattutto per dimenticare. Avevo bisogno di forti emozioni per cancellare la grande delusione di un amore distrutto: Lei era bella come il sole d’agosto. Capelli biondi, occhi azzurri. L’ho conosciuta in quel parco in una mattina d’aprile. Seduto su quella panca, come tante altre mattine, tra il verde e i raggi di un sole che a tratti sfioravano. Ero lì che scrivevo, un’atmosfera idilliaca per i miei versi. Solo il vento, un leggerissimo vento intonava il sottofondo dei miei pensieri. Ogni ramo, ogni foglia, come un’orchestra, accompagnavano le mie parole, guidando la mia mano, senza strappi, quasi a sfogliare le tantissime pagine delle mie sensazioni. Lei passò di corsa, come tutte le mattine, Lei ripassò e sorrise, mentre scrivevo di un tempo di un altro tempo. Solo quando alzai il capo mi aveva sorriso, mi aveva distratto ed io pensai: come era bella. La seguii con la mente, ma lei per un po’ non passò più, così ripresi a scrivere. Le mie parole ripresero a correre. Le mie di tante emozioni tradite, calpestate da tante follie. Avevo riempito il web di tante mie parole poesie parlavano dell’amore, del dolore, dei battiti del cuore. Urlavano al mondo, la rabbia. Quanti concorsi, quante antologie parlavano anche di me. Ma quel giorno d’aprile il silenzio parlava soltanto di lei. E’ strano, mentre scrivevo era come se m’ispiravo a quel suo sorriso. Non era la prima volta, l’avevo già vista con la sua amica, ogni mattina passava di lì, lungo il percorso battuto da tanti fondisti. Era il posto ideale per fare footingh. Anche il rumore di quei passi era come il ticchettio del passare del tempo. Dettava il ritmo di tanti pensieri. Poi il silenzio era il momento in cui raccoglievo il senso di tante sensazioni per riportarle sulle pagine delle emozioni. I versi più belli nascevano sempre nel momento più intenso di ogni silenzio. Fu proprio il quel momento che sentii le sue prime parole:-“posso? Posso sedermi?sono un po’ stanca. Oggi è il primo giorno che corro da sola, senza la mia amica. Forse ho un po’ esagerato. Ho tirato un po’ più del solito. Ho bisogno di prendere fiato. Riuscii solo a dire:-“prego”.