1980: Kagemusha di Akira Kurosawa


“Sfolgorante”, così la Garzantina del Cinema definisce questo gioiello di uno dei più indiscussi Maestri del grande schermo a cui dobbiamo tanti capolavori indimenticabili.
Kagemusha (“l’uomo-ombra”) segnò il ritorno di Akira Kurosawa dopo anni di assenza (sei lo separano dal lirico e dolente Dersu Uzala).
“Imperniato sul contrasto tra essere e apparire (tra maschera e personaggio), apologo sulla teatralità, meditazione sulle mistificazioni e la violenza del potere e sulla caducità delle glorie politiche e militari, il film è… uno splendido affresco epico”: come non essere d’accordo con il Morandini? Una gioia per gli occhi, uno stimolo alla nostra sensibilità e alla nostra intelligenza: uno spettacolo che onora chi lo ha realizzato e che ogni buon cinefilo non si stanca di rivedere.

Il lavoro (il suo ventisettesimo) ha una importanza particolare nella filmografia del grande regista perché costituisce una summa dei “suoi temi preferiti (psicologismo dovstoevskiano, relatività pirandelliana, americanismo spettacolare, ironia e truculenza, montaggio avvincente, fotografia pittorica), investiti di ejzensteiniana solennità nelle scene di massa degne degli affreschi rinascimentali” (Piero Scaruffi). Un film dove parlano più le immagini che le parole, un film che riesce a unificare, miracolosamente, magnificenza e asciuttezza.
Di grande spessore il protagonista, Tatsuya Nakadai, uno dei più celebrati attori giapponesi fin dagli anni 50, di cui MyMovies nel tracciarne una minibiografia dice: “…talento dalla grande duttilità e notevoli doti trasformistiche, intensa vitalità e mobilità espressiva che ha il suo punto di forza negli occhi”. Tutte qualità che si evidenziano, come meglio non si potrebbe, in questa opera che il grande regista ha potuto realizzare solo grazie all’intervento finanziario di Francis Ford Coppola e George Lucas.










