Per Åhlund ormai è diventato una presenza fissa su queste pagine, vedi Den Arkaiska Rösten e Skare. Questa volta è la collaborazione con l’americano Douglas Ferguson nel progetto Kahl che ci permette nuovamente di scrivere altre poche righe su di lui.
Il segreto per comprendere questo lavoro, le cui tracce risalgono al 2007, è da individuarsi nel titolo e nella copertina insieme. Sono abbastanza certo che l’immagine mostri il lato rovescio dell’accoppiamento di due piastre d’acciaio saldate a elettrodo. Siccome visivamente s’intravedono chiare inclusioni, wormhole e mancanza di fusione tra i lembi, non vorrei che quel false prove apparentemente reali si riferisca alla saldatura opposta, quella non visibile e presumibilmente accettabile, mascherando così i difetti e le scorie che non si desiderano mostrare o svelare. Chissà, forse è proprio per questi motivi che l’album si snoda inquietante, nonostante sia talmente meditativo che potrebbe essere utilizzato come sottofondo sonoro per ripetute sequenze d’ipnosi regressiva o sedute di psicanalisi. Un linguaggio robotico e alieno lancia messaggi subliminali con l’intento di squarciare una sorta di protettivo sacco amniotico, penetrando all’interno del subconscio, mentre interferenze invasive di scalpelli industriali, vento gelido e polvere radioattiva da cobalto60 scannerizzano il sistema neuronale per estirpare ed eliminare i ricordi o file negativi e virali. Alla breve fase introduttiva, dai contesti ambient e dalle lunghe apnee, si contrappone quella finale, assolutamente sopra le righe per intensità e spessore, durante la quale presenze spettrali si mischiano a un drone da cattedrale gotica, creando un’atmosfera anestetizzante. Un dosaggio centellinato di piccoli impulsi elettrici 24volt, infine, fa da sveglia e riporta alla normalità della vita reale, con qualche virus in meno nell’organismo, ma sempre stessa facciata.
Altro lavoro ben costruito, da apprezzare soprattutto per i numerosi effetti sonori. Ho avuto difficoltà nella classificazione, non so se sia dark ambient, drone o death industrial. Forse quest’ultima è la più azzeccata.
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