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Kamchatka

Creato il 22 gennaio 2015 da Povna @povna

La ‘povna lo ha letto seguendo il suo consiglio (e la ringrazia). Ne ha ricavato impressioni variegate, sia a livello di nuove letture per gli alunni, sia per quanto riguarda la sua medesima competenza del tema letterario. In margine al giorno della memoria, dunque – e in omaggio a ciò che ha imparato in Appennino (la memoria non si venera e si onora sterilmente, si attualizza) – la ‘povna parla di questo romanzo, ambientato in Argentina, nel 1974 (e già si è detto tutto): Kamchatka di Marcelo Figueras (uno degli intellettuali di spicco, anche recentemente – a denunciare i collusivi di quel tristo periodo con regime).

Ci sono due cose bizzarre, a proposito delle recensioni che circolano su questo romanzo. La prima è la generale tendenza a considerare Kamchatka un libro ‘pesante’. Intendiamoci, che l’argomento in sé e per sé non sia lieve, ma storicamente, eticamente, tosto, è evidente. La trama, ambientata al tempo del colpo di stato di Videla in Argentina, sceglie di entrare in medias res sul tema (trascurato, e che dovrebbe essere riportato all’attualità più stringente – non dimentichiamo la provenienza dell’attuale capo di una delle più grandi religioni monoteiste, giusto per fare un esempio) dei desaparecidos argentini, e della repressione sanguinosa, subdola, costante, riservata agli oppositori, in un clima di controllo e panico da tela del ragno, dal regime. Nello stesso tempo, dato che il finale – così come in un libro sulla Shoah – è in qualche modo già annunciato e scritto (sia nella parte positiva: il romanzo è raccontato in prima persona, dal protagonista adulto, che dunque denuncia fin dalla prima riga il suo destino di salvezza), sia negativa (che è data dalla storia, viceversa), la cupezza di qualsiasi storia su questo argomento nel suo insieme non può che essere data dalle scelte autoriali stilistiche, di struttura e di trama. E qui, viceversa, la scelta di concentrare la maggioranza del punto di vista – e sicuramente la totalità dei protagonisti – in una prospettiva di ragazzi rende le vicende narrate (la storia del periodo di semi-clandestinità vissuto da una famiglia argentina, costretta a lasciare Buenos Aires quando l’aria e le persecuzioni iniziano a farsi irrespirabili) leggere, aperte, surreali. Il pericolo che tutti i personaggi corrono, pur presente (e ricordato in tutti gli intermezzi dalla voce e dall’occhio del narratore adulto, che si sostituisce a tratti, con simmetria, alla focalizzazione del ragazzo) è dunque posto in secondo piano dalle preoccupazioni del presente schietto che caratterizzano l’infanzia: salvare i rospi che annegano dalla piscina della casa dove la famiglia Vicente (nome nuovo) si è rifugiata, imparare a seguire le orme dell’eroe Houdini, studiando da autodidatta l’escapismo, evitare che i genitori si accorgano della pipì nel letto che ha iniziato a rifare il fratello più piccolo, “il Nano”.
I giorni di clandestinità si annodano così a ricostruire il microcosmo di questa famiglia di attivisti, che lotta per la propria vita ma non vuole rinunciare alla militanza, mentre, man mano, le maglie del controllo si fanno sempre più strette. Fino alla conclusione prevedibile: quella della separazione – in nome della sicurezza – dei bambini dai loro genitori.
La storia è raccontata in prima persona, come detto. Ma la prospettiva – ed è questo il secondo punto bizzarro – non è affatto esclusiva, solo quella del ragazzino protagonista. Costui, è pur vero, mantiene la totalità dell’istanza narrativa (da bambino e da adulto) ma, proprio per questo, il suo sguardo cambia. Portando di conseguenza anche a frequenti cambi di registro (che costituiscono, a tratti, l’unica fatica stilistica) nella vicenda narrata. Al mondo descritto con gli occhi del decenne si sostituiscono così spesso le riflessioni più mature dell’adulto scampato grazie “al rifugio in Kamchatka” (si scoprirà piano piano, il senso della metafora), che riflette con attenzione colta su aspetti della storia (argentina), sui caratteri dell’adattamento umano, della cultura. Risponde anche alla prospettiva del narratore adulto l’organizzazione del libro per capitoli che sono discipline, alternati a momenti di “ricreazione” (con una citazione a suon di musica): Biologia, Lingua, Astronomia, Storia – le varie materie diventano metafora di altrettanti modi di narrare la stessa storia e (dunque) di interpretare il mondo (non a caso, la voce adulta si lascia andare, talvolta, a osservazioni che hanno sapore saggistico). Un artificio interessante (pur se talvolta suona un po’ posticcio) ma che, di nuovo, denuncia il doppio punto di vista, del ragazzo e dell’adulto, necessario a raccontare, sì, ma anche a far riflettere, sulla storia narrata.
Si sono fatti tanti nomi di modelli, per Kamchatka (in parte dall’autore stesso), scomodando per esempio il Benigni della Vita è bella (che nulla c’entra). Se viceversa il parallelo con le narrazioni della Shoah ha un senso (e ce l’ha, ovviamente), sarebbe allora meglio citare Train de vie, volendo restare nell’ambito del cinema (perché l’ultima scena è in grado, appunto, di rettificare la prospettiva in maniera non univoca). Ma forse il riferimento più pertinente pare quello di un bel libro di Joseph Joffo, Un sacchetto di biglie, che offre a Kamchatka alcuni modelli sia dal punto di vista della trama (il parallelo tra la scuola cattolica che frequenteranno i due fratelli Vicente e il campo che accoglie Maurice e Joseph nel Sacchetto è per esempio evidente), sia dei simboli (il gioco come filo rosso conduttore – le biglie come il Risiko), sia della prospettiva del racconto familiare (in entrambi i romanzi si parla di una storia di resistenza di tutta la famiglia, che non vuole abbandonare il suo paese, né arrendersi), sia, appunto, nella doppia gestione del punto di vista, in un duplice registro di narrazione.
Sia come sia, Kamchatka – nella pluralità di punti di vista, stili, gioco sui generi – resta un romanzo significativo e denso di spunti, nonostante, o forse proprio grazie, ai leggeri punti di debolezza nella costruzione della sua struttura letteraria.

(Per il venerdì del libro).


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