13 marzo 2014 Lascia un commento
Pietra. Sulla pietra l’umanita’ e’ nata, cresciuta e ad essa non puo’ prescindere.
La pietra e’ fondativa, protegge o colpisce. La pietra seppellisce o rinforza l’anima di chi la possiede, accoglie, scaccia gli estranei ed esclusi.
Chi entra nella casa, casa di pietra o suoi sostituti, cerca un legame, un vincolo, un rifugio perche’ nella casa v’e’ tutto questo, nella casa si ritrova cio’ che si e’, nascosti o forse esaltati dall’intimita’ delle mura.
Sokurov tanto diverso da chiunque altro eppure cosi’ simile a se stesso, nella sintassi di un bianco e nero espressionista quando e’ l’unico al mondo che sa parlare di espressionismo anche col colore.
L’espressionismo e’ architettura dell’ambiente, e’ luce che delinea i volumi e traccia i contorni esasperandoli e nessuno sa maneggiare architettura, luce e volumi come Sokurov e percio’ questo e’ un film unico.
Meraviglia che si ripete e si rinnova malgrado l’abitudine al suo cinema non basta per sentirsi sazi. L’uso di lenti anamorfiche con le quali Sokurov punta il dito e sottolinea, strania e spaventa nell’idea e nella tecnica.
Terrificante di un terrore primevo e appunto a forze antiche alle quali Sokurov si rivolge e che mette in mostra, un ritorno alla vita o al suo addio, uomini senza tempo e in quanto tali non piu’ uomini, circondati da oscure presenze, apparizioni talvolta fugaci, altre persino comiche, comunque inquietanti per una casa che ricorda "la zona" di tarkovskijana memoria, la terra degli Stalker per intenderci perche’ per entrambi i registi, sempre di ricordi si tratta..
L’assenza di colore si esalta in una atmosfera da fotografia pittorialista portatrice sugli esterni di inaudita forza e mistero mentre dentro casa, si perde la nozione di fotogrammi per trovare una successione di pitture in sequenza, ognuno di essi da conservare e studiare come singola e unica opera d’arte.
I dialoghi non raccontano, non avvicinano anzi allontanano ma non c’e’ intento di separazione, semplicemente non essendo necessari, vagano come orpelli inutili tra lo scorrere sempre piu’ indistinto del tempo e la definizione della pietra nelle sue diverse sfaccettature.
Film forse difficile per chi si appresta a conoscere il grande regista russo. Il mio consiglio e’ di arrivarci dopo, avendo gia’ nel cuore la sua poetica che sappiamo fare di lui uno dei piu’ grandi registi viventi.
La pietra e’ fondativa, protegge o colpisce. La pietra seppellisce o rinforza l’anima di chi la possiede, accoglie, scaccia gli estranei ed esclusi.
Chi entra nella casa, casa di pietra o suoi sostituti, cerca un legame, un vincolo, un rifugio perche’ nella casa v’e’ tutto questo, nella casa si ritrova cio’ che si e’, nascosti o forse esaltati dall’intimita’ delle mura.
Sokurov tanto diverso da chiunque altro eppure cosi’ simile a se stesso, nella sintassi di un bianco e nero espressionista quando e’ l’unico al mondo che sa parlare di espressionismo anche col colore.
L’espressionismo e’ architettura dell’ambiente, e’ luce che delinea i volumi e traccia i contorni esasperandoli e nessuno sa maneggiare architettura, luce e volumi come Sokurov e percio’ questo e’ un film unico.
Meraviglia che si ripete e si rinnova malgrado l’abitudine al suo cinema non basta per sentirsi sazi. L’uso di lenti anamorfiche con le quali Sokurov punta il dito e sottolinea, strania e spaventa nell’idea e nella tecnica.
Terrificante di un terrore primevo e appunto a forze antiche alle quali Sokurov si rivolge e che mette in mostra, un ritorno alla vita o al suo addio, uomini senza tempo e in quanto tali non piu’ uomini, circondati da oscure presenze, apparizioni talvolta fugaci, altre persino comiche, comunque inquietanti per una casa che ricorda "la zona" di tarkovskijana memoria, la terra degli Stalker per intenderci perche’ per entrambi i registi, sempre di ricordi si tratta..
L’assenza di colore si esalta in una atmosfera da fotografia pittorialista portatrice sugli esterni di inaudita forza e mistero mentre dentro casa, si perde la nozione di fotogrammi per trovare una successione di pitture in sequenza, ognuno di essi da conservare e studiare come singola e unica opera d’arte.
I dialoghi non raccontano, non avvicinano anzi allontanano ma non c’e’ intento di separazione, semplicemente non essendo necessari, vagano come orpelli inutili tra lo scorrere sempre piu’ indistinto del tempo e la definizione della pietra nelle sue diverse sfaccettature.
Film forse difficile per chi si appresta a conoscere il grande regista russo. Il mio consiglio e’ di arrivarci dopo, avendo gia’ nel cuore la sua poetica che sappiamo fare di lui uno dei piu’ grandi registi viventi.