La notizia è vecchia, ma fa sempre bene ricordarlo, e le fonti di questo articolo sembrano affidabili, quindi lo segnalo ugualmente e ne faccio qui un piccolo riassunto. Per vedere l’articolo originale potete andare invece alla pagina: http://www.aamterranuova.it/article4328.htm
Luci ed ombre del Kamut, o meglio del Khorasan, un tipo di frumento che tra l’altro abbiamo anche in Italia. Si parla qui di miti e leggende che lo hanno portato ad essere considerato oggi come uno dei migliori cereali per l’alimentazione.
Ha buone proprietà nutrizionali ed è eccellente per la pastificazione, è vero, ma pare non sia stato ritrovato in una tomba egizia e non è adatto ai celiaci. Inoltre viene coltivato e venduto in regime di monopolio, ha un costo eccessivo, e una pesante impronta ecologica.
Dai dati oggi disponibili, di fonte pubblica e privata, tra gli elementi di maggiore caratterizzazione del Khorasan ci sono un elevato contenuto proteico, in generale superiore alla media dei frumenti duri e teneri, e buoni valori di beta-carotene e selenio; per le altre componenti qualitative e nutrizionali non ci sono differenze sostanziali rispetto agli altri frumenti. Glutine: non ne è né privo né povero. Bisogna, infatti, chiarire che, come ogni frumento, il Khorasan è inadatto per l’alimentazione dei celiaci, perché contiene glutine (e non ne è né privo né povero, come, poco responsabilmente, una certa comunicazione pubblicitaria afferma o lascia intendere) e ne contiene in misura superiore a quella dei frumenti teneri ed a numerose varietà di frumento duro.
Detto ciò, il Khorasan è certamente un frumento rustico, con ampia dattabilità ambientale, eccellente per la pastificazione. Come ogni frumento che non è stato sottoposto a procedimenti di miglioramento genetico o ad una pressione selettiva troppo spinta, e proprio per questo motivo pare sia più facilmente digeribile dalle persone che soffrono di lievi allergie e intolleranze, comunque non riconducibili alla celiachia: ma questo è proprio ciò che si può dire dei farri e delle “antiche” varietà di frumento duro e tenero.
Se la sua coltivazione è biologica, si può dire che senz’altro è un prodotto salutare, senza però scadere in esagerazioni né in forzature incoraggiate dalla moda e dal marketing del salutismo. Costi elevati, per il portafoglio e per il Pianeta Restano ancora tre aspetti che gettano un’ombra sul prodotto a marchio Kamut :
- il monopolio commerciale imposto dalla K.Int. su un frumento tradizionale che, come tale, dovrebbe invece essere patrimonio di tutti, e più di chiunque altro delle comunità che nel tempo lo hanno conservato e tramandato;
- il costo eccessivo del prodotto finito (dall’80 al 200% in più di una pasta di comune grano duro biologico), poco giustificabile a sostanziale parità di valori qualitativi e nutrizionali, dovuto al regime di monopolio, ai costi di trasporto, ai diritti di uso ed ai costi di propaganda, ma dovuto anche agli effetti di un mercato dell’eccellenza che trasforma il cibo in oggetto di lusso, di gratificazione e di distinzione, e che specula sul desiderio di rassicurazione e sul bisogno di salute;
- la pesante impronta ecologica legata allo spostamento di un prodotto perlopiù coltivato dall’altra parte del Mondo che arriva sulle nostre tavole attraverso una filiera molto lunga (migliaia di chilometri), e che, solo per questo fatto, non è compatibile con la filosofia della decrescita e con l’attenzione al consumo locale, fatto se possibile a “chilometro zero”.
A questo punto è giusto che ognuno tragga da sè le proprie conslusioni e soprattutto che approfondisca questa ricerca, le fonti consultate sono state:
i siti dell’Associazione Italiana Celiachia (www.celiachia.it), dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (www.inran.it), della Kamut International (www.kamut.com), dell’United States Department of Agricolture (www.usda.gov), dell’Insitute Sciwentifique de Recherche Agronomique (http://grain.jouy.inra.fr), l’articolo di A. R. Piergiovanni, R. Simeone, A. Pasqualone, “Composition of whole and refine meals of Kamut under southern Italian conditions” su Chemical Engineering Transactions, 2009, vol. 17: 891-896. Alcuni dati sono stati indicati da Oriana Porfiri (comunicazione personale).
fonte: aam Terra Nuova, marzo 2010, n°248, pagg.73-76