Il francese David Letellier, tedesco d’adozione, suonerà a Firenze questo sabato nella cornice del Museo Marino Marini. È uno dei nomi emergenti di casa Raster-Noton e questo passaggio dalle nostre parti per esibirsi in una rassegna con gente di tutto rispetto (Murcof, Fennesz, Stott…) c’ha spronato a chiedere una breve intervista via mail che aggiungesse qualcosina alla recensione dell’ultimo ep. La discografia ha uno o due album di cui si sarebbe potuto discutere più estesamente, e magari lo faremo il giorno che esce quello nuovo, per ora abbiamo provato a scucirgli qualcosa sulla direzione più dancefloor delle ultime prove sulla breve distanza, ma lui ha detto e non detto. In compenso, parlando delle sue origini, è risultato abbastanza chiaro che il suo brodo di coltura musicale sia stato la capitale tedesca, dove vive, e che si trovi musicalmente da qualche parte tra l’etichetta di Carsten Nicolai, la club culture e quel pizzico di crudezza live che forse gli deriva dalle origini alternative.
L’ho già chiesto a Mika Vainio e ai Nadja, la geografia conta. Al momento vivi a Berlino. Da qui noi la vediamo come la nuova Londra. Quanta influenza ha avuto Berlino su di te come musicista?
David Letellier: Moltissima. Vivo a Berlino dal 2001 ed è da quel momento che ho iniziato a produrre musica con strumentazione elettronica, prima ero chitarrista in band rock. Berlino è il posto dove ho incontrato la crew Raster-Noton e dove ho scoperto la club culture. Quindi posso dire che il contesto berlinese abbia plasmato interamente la mia musica. Questa è casa mia.
Infatti so che suonavi in una rock band. Ascoltavi i Nine Inch Nails. Sono serviti da ponte per il passaggio da rock a elettronica?
Sì, nei Novanta come tutti i miei amici ascoltavo Nirvana, Pearl Jam, Rage Against The Machine, tutta questa roba. Un po’ dopo è stata la volta dei Mogwai, dei My Bloody Valentine o dei Nine Inch Nails. Vengo da fuori città e dove vivevo nessuno ha mai ascoltato musica elettronica. La techno è una cosa più urbana. Come dicevo, ho iniziato a Berlino.
Adesso invece chi ti ispira? Che cosa ruberesti a una band o a un artista tuoi contemporanei?
Se dovessi rubare qualcosa, si tratterebbe della collezione di vinili di Sean e Miles (i Demdike Stare) oppure del compressore valvolare degli Emptyset…
Ti interessa il dibattito “analogico contro digitale”?
Non ho mai capito questa discussione, la tecnologia dovrebbe rappresentare solo uno strumento, non il soggetto. È come se la gente cominciasse a litigare sulle differenze tra musica fatta con una Fender Stratocaster e musica fatta con una Gibson Les-Paul. Alla fine, finché la musica sarà convertita in file digitali, questo dibattito è invalidato in ogni caso. Devo ancora sentire di qualcuno che è riuscito a mantenere analogica tutta la catena di produzione di un disco. Con la democratizzazione della tecnologia chiunque diventa un esperto e chiunque ha la sua definizione di cosa sia meglio o no in termini di hardware e software. A me non interessa se uno usa Fruity Loops o se registra su nastro e una console Neve. Alla fin fine, quello che conta è che cosa ci stai facendo con queste cose, si dovrebbe parlare della musica.
Quanto improvvisi dal vivo e quanto cambi le tracce? Suoni da solo, ma anche in un trio. Questo m’incuriosisce, per favore raccontami come interagisci con gli altri due membri della “band”.
La “configurazione-band” è per le occasioni speciali, tipo una o due volte l’anno. È opportuna per i palchi grossi o per i festival, dove la tua “presenza” dal vivo diventa più importante. Estraggo alcune parti della traccia e gli altri due le suonano live, uno si occupa della batteria mediante un kit elettronico, con pad e pelli “mesh head”, l’altro è alle prese con un rack di sintetizzatori. Quindi è più grezzo, e più improvvisato, devo lasciar andare le cose molto di più che quando sono solo, devo accettare che diventino “altro”.
Ti vedremo a Firenze a giorni. Tu noti differenze tra il pubblico tedesco e quello italiano?
Per me l’Europa è un’area culturalmente omogenea. Ci sono differenze nel modo in cui la gente si veste, mangia o interagisce cogli altri, ma in realtà le differenze ci sono a seconda del contesto dove mi esibisco, se è un club o se è un museo come sarà a Firenze.
Per quello che ho potuto osservare, i tuoi visuals per i concerti mi fanno credere che tu immagini la tua musica come una strana geometria. Hai mai pensato a qualcosa che sia diverso da linee e colori? Qualcosa come foto e filmati reali.
L’ho già fatto in passato. In linea di massima cerco di cambiare i visuals a ogni album, di modo che si adattino al concept. Io vedo come un’evoluzione naturale il passaggio da immagini “reali” a forme più astratte, comunque dipende tutto da cosa tu cerchi di esprimere. In generale, però, non voglio che la parte visiva distragga la gente dalla musica, voglio che completi il suono, che diventi una sorta di sinestesia, per questo immagini “vere”, come in un film, si prendono troppo spazio, troppa attenzione. La mia priorità è la musica.
Ascoltando Monad XI (uscito per Stroboscopic Artefacts) e The Pentaki Slopes, direi che il tuo 2012 è stato un anno “upbeat” per te. Dobbiamo considerare queste uscite come tentativi di essere sempre diverso o come una nuova direzione per Kangding Ray? E che ci dobbiamo aspettare per il futuro?
Sto lavorando a un nuovo album, adesso. Non so quando sarà finito, per me è sempre un lungo processo e ancora adesso non so che forma prenderà, se sarà “upbeat” o no. L’uscita più prossima, ad aprile, sarà un ep di 4 tracce di nuovo per Stroboscopic Artefacts, e questo qui sarà bello pesante…
email print