Kanojo wa uso wo aishisugiteru (カノジョは嘘を愛しすぎてる, The Liar and His Lover). Regia: Koizumi Norihiro. Soggetto: da un manga di Aoki Kotomi; Sceneggiatura: Yoshida Tomoko, Koizumi Norihiro; Fotografia: Yanagida Hiro; Scenografie: Gotsuji Kei; Montaggio: Morishita Hiroaki; Musiche: Iwasaki Taisei; Interpreti: Satō Takeru, Ohara Sakurako, Miura Shōhei, Kubota Masataka, Mizuta Kōki, Aibu Saki, Sorimachi Takashi; Produzione: Ishida Kazuyoshi, Tsuchiya Ken; Durata: 117’; Uscita nelle sale giapponesi: 14 dicembre 2013.Link: TrailerGiudizio del recensore: *1/2
Aki è un giovane musicista considerato un genio nel suo campo. Dopo che la band in cui suonava, i Crude Play, ha raggiunto il successo ed è dovuta sottostare alle imposizioni della casa discografica che l’ha scritturata, Aki si è rassegnato a comporre musica lontano dai riflettori, rimpiangendo i giorni passati e struggendosi per il fallimento della sua relazione con Mari, una celebre pop-idol. Un giorno si imbatte casualmente in Riko, una liceale dolce e spontanea che si esibisce per le strade come cantante insieme a due coetanei. I due si innamorano, ma tengono nascosto l’una all’altro i rispettivi legami con il mondo della musica. Quando il gruppo di Riko suscita l’attenzione dello stesso discografico che cura le produzioni dei Crude Play ed è di conseguenza avviato al successo (con tutte le distorsioni che esso comporta), Aki, anche a causa di un gesto di ritorsione di Mari, è costretto a uscire dalla vita di Riko.Tratto dall’omonimo shōjo manga di Aoki Kotomi (pubblicato in Italia da Panini Comics col titolo Bugie d’amore), The Liar and His Lover si sforza di tradurne con discrezione storia e atmosfere senza appoggiarsi a vistose contaminazioni visuali o linguistiche nel passaggio da un medium all’altro. Per quanto si tratti di un’operazione ormai estremamente comune nel cinema giapponese contemporaneo, è sempre impervia in quanto presenta un grosso rischio: quello del drastico impoverimento dell’immaginario di origine risultante dalla sola traslazione sul grande schermo di intreccio e personaggi, mentre viene tralasciato quasi tutto il resto a discapito di un più profondo lavoro di adattamento. Ciò vale a maggior ragione per un genere visivamente estroso come il manga per ragazze, la cui piattezza dei contenuti (spesso stereotipati e inconsistenti) è in molti casi riscattata da scelte formali (insite nel tratto dell’autore, nella composizione delle vignette e delle tavole o nelle strategie narrative adottate) che, anche quando seguono codici ormai consolidati come in questo caso specifico, sono realmente capaci di elevare qualitativamente la materia del soggetto. Tali scelte esigerebbero forse un adeguato corrispettivo in campo filmico, invece della semplice e pigra adozione di uno stile “medio”. Uno degli esempi (in negativo) più significativi in tal senso è stata la doppia trasposizione cinematografica del manga Nana di Yazawa Ai a opera di Ōtani Kentarō: il best-seller della Yazawa, privato sullo schermo dello stile dell’autrice (coinvolgente, raffinato, ironico, penetrante e paradossalmente più “cinematografico” della sua traduzione), finiva per offrire un intreccio da telenovela e nulla più. La regia patinata di Koizumi Norihiro si colloca un gradino più in alto rispetto al film di Ōtani, ma il risultato raggiunge a stento la sufficienza. I personaggi cartacei di Aoki non reggono il peso di un registro realistico, e risulta troppo evidente il divario tra il loro carattere archetipico (ma secondo un’iconografia ancorata al particolare universo dei generi del manga, più che a quelli del cinema) e il sostanziale realismo della messa in scena. Così il bel musicista geniale e tormentato, la ragazzina “moe”, il produttore cinico e la diva altezzosa e vendicativa finiscono per ritrovarsi come spaesati in un mondo tridimensionale cui non appartengono. Il risultato è un oggetto sbiadito, ovattato: un manga incapace di accendere le emozioni e la fantasia con la stessa forza di un manga.Esiste infine un problema, per quanto di natura soggettiva, relativo a queste trasposizioni di fumetti ambientati nel mondo della musica: al cinema (soprattutto in questo genere di cinema commerciale che non può permettersi di porre le canzoni in ellisse anche perché la colonna sonora costituisce un pilastro importante di una più ampia impresa produttiva che si snoda tra i vari media) i brani musicali devi farli sentire e non puoi fare affidamento alla sola immaginazione di uno spettatore che le plasmerà da sé secondo i propri ideali. In questo caso specifico, ciò finisce per produrre un ulteriore scarto tra l’immagine del genio puro e idealista che non scende a compromessi per ragioni di coerenza artistica, e la realtà di canzonette banali e indistinguibili dal grosso della fervida produzione pop giapponese. [Giacomo Calorio]