Karatedo (1): comincia e finisci nel rispetto

Creato il 08 gennaio 2013 da Stefano Bresciani @senseistefano
Data: 8 gennaio 2013  Autore: Stefano Bresciani

Gichin Funakoshi, il padre del Karate moderno, affermò che:

lo scopo finale del Karate non è la vittoria o la sconfitta ma la ricerca della perfezione del carattere dei suoi praticanti

Per supportare quest’affermazione e dare una guida ai praticanti di Karatedo, il Maestro giapponese Gichin Funakoshi scrisse, nel 1937, venti principi o precetti (“Shōtō Nijukun”). Inizio oggi l’analisi di queste altissime forme di reigi (=etichetta) assimilabili a qualsiasi disciplina che trasmetta i valori del Budo. Una sorta di gruppo di studio online che ogni martedì da qui a Giugno vedrà riemergere la passione per il mio primo amore marziale… mi auguro possa attirare sulle pagine di BudoBlog sempre più praticanti di tale disciplina. Tutti coloro che vedono “oltre” l’aspetto prettamente agonistico-sportivo del Karate sono quindi i benvenuti!!

Navigando qua e là nel web, tra centinaia di siti sulla “via della mano nuda” (per approfondimenti scarica l’ebook nell’area “free“) promossa dalle più svariate associazioni sportive, noto con rammarico che nessuno si è mai preso la briga di commentare, analizzare, sviscerare quelle che a mio avviso sono le basi del Karate-do: freddi elenchi, spesso supportati da pergamene su cui vengono riportati i kanji originali (mi auguro), foto del maestro ma nessuna, ripeto nessuna, traccia di interpretazione. Da buon ex-praticante, agonista e insegnante di Karate shotokan giunto al 3° dan nel 2006 per poi seguire altre strade, mi prendo la briga di dissetare la sete di confronto e conoscenza.

Il Karate-do comincia nel rispetto e finisce nel rispetto.

All’apparenza semplice da capire ma non così banale da applicare. Al primissimo posto nel vademecum di Funakoshi troviamo il principio del rispetto, in cui la cortesia fa da padrona parimenti a una delle 7 virtù che possiamo riscontrare nel Bushido. E qual è il gesto simbolico che meglio rappresenta il rispetto tra due persone, siano esse maestri o ultimi arrivati in un dojo? Il saluto (“rei”) punto chiave dell’etichetta (“reigi”) di qualsiasi arte appartenente alla sfera del Budo. Salutare non significa semplicemente chinarsi e magari spiaccicare timidamente un “osu” (pronunciato “oss”), significa dare estrema importanza a chi abbiamo di fronte e all’ambiente che ci circonda. Salutare dando la giusta enfasi a ciò che stiamo facendo, sia esso alla fine o all’inizio di un combattimento, di un kata o di una lezione, nel qui e ora.

La forma esteriore del “rei”, ossia ciò che appare all’occhio nudo, rispecchia ciò che abbiamo al nostro interno: essere concentrati, sereni, mentalmente aperti, sincronizzando il nostro movimento corporeo con la corretta pronuncia vocale del termine “osu”, è sinonimo di dignità, rispetto, cortesia. Rispecchia il nostro comportamento verso il prossimo e se esso è animato dalla gioia del confronto e non da ostilità o voglia di prevaricazione, di certo il M° Funakoshi non potrà che esserne orgoglioso…

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