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Karl Raimund sir Popper e la rana

Creato il 10 gennaio 2011 da Bruno Corino @CorinoBruno

Karl Raimund sir Popper e la rana
Negli animali non umani, la coordinazione tra percezione dello stimolo-chiave e risposta motoria è stabilita dall’apparato istintuale, che da un lato, attraverso le proprie esperienze sensoriali (percezioni) seleziona gli stimoli-chiave per la loro sopravvivenza, e dall’altro fornisce la risposta motoria adatta a corrispondervi. Ogniqualvolta una rana percepisce nel suo raggio d’azione un piccolo oggetto in movimento scatta. Questa risposta motoria messa in atto dalla rana è una risposta innata. In termini popperiani, la rana reagisce allo stimolo-chiave in base a una teoria innata, cioè perché "sa" che là c'è un insetto. Sulla base di questa aspettativa, la rana scatta perché c’è una preda. Ma la rana scatta lo stesso anche quando ad entrare nel suo raggio d’azione sia una fogliolina e non un insetto. Ora se la percezione della rana non fosse parte integrante del suo apparato istintuale, e quindi non fosse innata, come presuppone Popper, allora la rana dovrebbe imparare a distinguere un insetto da una fogliolina, e non scattare ogniqualvolta osserva un corpo piccolo in movimento nel suo campo d’azione. In realtà, se la percezione fosse scissa dalla sua risposta-motoria, creerebbe nella rana un attimo di esitazione di fronte all’oggetto in movimento. Il che implicherebbe due conseguenze per la rana: la prima potrebbe essere fatale, perché l’esitazione dovuta all’osservazione potrebbe differire il tempo di reazione e permettere all’insetto di volar via; la seconda, che la rana avrebbe la capacità di inibire la pulsione e quindi di differire il tempo di reazione. Entrambe queste conseguenze comporterebbero che l’azione della rana, la sua risposta-motoria, sia svincolata dal suo apparato istintuale. Popper potrebbe obiettare che se l’osservazione della rana fosse innata sarebbe talmente precisa che non ci sarebbe alcuna possibilità di ingannarsi tra un insetto e una fogliolina. In realtà, l’osservazione è di per sé precisa. Infatti, nel corso di una giornata, quante possibilità ha la rana di commettere degli errori scambiando una fogliolina per un insetto?
Invece, finché l’insetto rimane immobile, la rana non lo percepisce. Quindi l’insetto viene percepito nel momento in cui i suoi movimenti diventano per la rana un segnale, che provoca un effetto scatenante. La percezione del segnale non ha la funzione di controllare l’esito che la risposta della rana ha provocato, bensì è parte integrante di quella risposta. Popper può arrivare alle sue convinzioni perché non ha approfondito la differenza tra l’agire umano e il reagire animale. Mentre nell’animale la reazione è fornita dal suo corredo istintuale, nella specie umana non esiste un apparato istintuale, e ogni risposta è prodotta dal suo agire. Quindi, l’essere umano ha bisogno di stabilizzare il suo ambiente e le sue risposte, perché non è sorretto da un apparato istintuale, ed è l’azione che sostituisce l’istinto. La selezione di uno stimolo-chiave (o di un segnale significativo), cui far corrispondere la risposta adeguata, o viene dettata dall’apparato istintuale oppure (come nel caso della specie umana) viene fornita da un processo di apprendimento. Negli animali, pertanto, il rapporto tra l’apparato istintuale e il processo di apprendimento si presenta in termini inversamente proporzionali, vale a dire più è vincolante il primo meno possibilità ha di svilupparsi il secondo. Nella specie umana questo scioglimento da ogni legame istintuale è stato possibile perché sin dall’origine i comportamenti istintuali non la aiutavano nella sopravvivenza. Infatti, scrive Gehlen: «Dal punto di vista morfologico – a differenza di tutti i mammiferi superiori – l’uomo è determinato in linea fondamentale da una serie di carenze, le quali di volta in volta vanno definite nel preciso senso biologico di in adattamenti, non specializzazioni, primitivismi, cioè di carenze di sviluppo: e dunque in senso essenzialmente negativo». Soltanto quando l’ambiente è stabilizzato l’uomo può procedere alle sue modificazione attraverso congetture e confutazione. In conclusione, Popper nella sua teoria della conoscenza, anziché partire dall’inizio del processo antropologico, nel momento in cui la specie umana si esonera dalla natura per edificare una “seconda natura” (la cultura), parte dalla fine, quando ormai l’uomo è riuscito a stabilizzare l’ambiente, e lo ha “riempito” di teorie, che modifica costantemente secondo nuove aspettative. Se l’uomo non dipende per la sua sopravvivenza dall’istinto, allora non solo non ha risposte innate ma è costretto ad agire per costruire un ambiente stabile e adattarlo alle sue aspettative. Se lo vediamo entro questa prospettiva, la differenza tra Einstein e l’ameba non è dovuta al fatto che il primo ogniqualvolta elabora una soluzione cerca di scoprire in essa l’errore, ma dipende dal fatto che l’ameba non commette errori perché le sue risposte sono guidate dall’apparato istintuale, e quindi non ha neanche bisogno di correggere le sue teorie, mentre Einstein deve farsi guidare dalle conoscenze apprese e su quelle elaborare una nuova teoria e procedere per tentativi ed errori: «Privo infatti di una selezione funzionale che nell’animale è garantita dall’istinto, l’uomo non potrebbe orientarsi nel mondo senza una tecnica selettiva che, attraverso prove ed errori, gli consente di scegliere tra gli indizi quelli che, una volta connessi, consentono di avere un mondo a portata di mano e di poterne disporre per il futuro» (Galimberti, Psiche e techne). La fallibilità dell’uomo non è “un di più”, bensì “un di meno”: l’uomo è fallibile perché non dispone di un apparato istintuale che gli fornisca risposte innate, invece l’animale non lo è perché ha risposte altamente specializzate con un margine minimo di errore.


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