Questi sono giorni strani. Magici ma strani.
Cammino per strada e ascolto in diffusione le canzoni del mio cuore: Santa Claus is coming to town, Jingle Bells, It’s beginning to look a lot like Christmas. Cammino intabarrata nel mio cappotto e mi infagotto in un favoloso cappello rosso, penso ai regali da fare e mi mi stringo a chi amo.
Discuto, perché si, la vita non è mai tutta perfetta: soprattutto come già scrissi, in ricorrenze che amo moltissimo ma chissà perché, alla fine succede sempre qualcosa che non lo rendo stupendo come da aspettative.
Ceno con amiche, parliamo di karma, di energie positive, di sorrisi tra una ribolla gialla e una bottarga.
Vorrei dormire di più impastare i miei biscotti e leggere il nuovo numero di A Tavola e del D La Repubblica, magari abbandonata sul divano e guardando la televisione dove paradossalmente la programmazione natalizia non sembra poi così tanto natalizia – avrà per caso fortuito trovato forse 3 o 4 film che sanno di Babbo Natale e elfi.
Sono finalmente riuscita a fammi fare un pedicure come si deve, con tanto di smalto rosso con brillantini: la mia cinesica rideva mentre le chiedevo un rosso Santa Claus e qualcosa che luccicava da metterci sopra.
Sono anche riuscita ad andare finalmente a mangiare da Manna e ho adorato la vellutata di patate e aglio dolce con tartufo: penso a come/quando/dove rifarla e in che occasione soprattutto.
Consegno regali, immagino nuove ricorrenze, penso a piani diabolici per festeggiare un nuovo 25 dicembre il 25 di luglio.
Ho un po’ paura. Forse ansia. Si anzi, ho una terribile paura di questo 2015. Non so cosa mi aspetta ma so che è un turning point, deve esserlo. Sono pietrificata dai se, dai ma, e da quello che vorrei con tutte le mie energie che andasse oltre il meravigliosamente bene, e sono terrorizzata che questo non possa avvenire. Non ci penso, mi verso un po’ di Gerwustraminer e penso che la scialuppa della positività non è certo da abbandonare ora.
Oggi mi sono fatta coccolare dalle mie due Chiare: altro paradosso, le mie migliori amiche si chiamano Chiara entrambe, una rossa e una gialla, e la mia manager si chiama Chiara. La Suorina che mi insegnava greco si chiamava Chiara ed è anche colei che guardandomi negli occhi mi disse “solo tu, se vuoi, puoi”. Mi riempiva la zolletta di zucchero di gocce di valeriana e poi mi spediva dalla Prof Ovadia a ripetere di equazioni che proprio non volevo fare venire.
Quest’anno che viene devo smettere di usare i taxi e andare in bicicletta. Fare yoga che legittimino la mia nuova uniform con pantaloni da simili tuta anche per uscire. Usare le scale. Bere acqua calda e limone al mattino. Fare la pulizia del viso almeno una volta al mese.Spegnere di più la televisione e leggere tutti questi bei libri che attendono solo di essere aperti. Parlare ed esaltare i pregi di chi amo.
Insomma se uno aspetta il big bang, non sarà mai felice. Mi spiego: se io vincolo la mia felicità/serenità a un nuovo lavoro, un sacco di soldi che nemmeno paperon de paperoni, un matrimonio/rapporto senza imperfezioni, un viaggio, nona arò mai soddisfatta. Voglio ricercare la serenità che la magia del quotidiano può darmi. Quell’incanto che può regalare una colazione lenta al mattino, con il profumo del caffè che invade la casa. Un’attenzione da chi amiamo, inaspettata e desiderata. O un drink che mi piace molto. Un bouquet di fiori. Un riposino pomeridiano rubato a una giornata frenetica. Ecco, questo voglio che diventi il fulcro della mia attività: vedere solo il Sole. Cercare di concentrarmi sempre sui miei “+”. Anche quando i meno sembrano abbondare o farci esalare l’ultimo sospiro di pazienza.
Voglio imparare il coraggio delle mie azioni, la genuinità della trasparenza delle mie parole legate ai fatti che voglio portare a baluardo del mio futuro.
Voglio ridere. Sorridere. Scoprire. Amare. Donare. Ritrovare quella Trilli dal cuore frizzante che mia mamma tanto amava. Voglio imparare a scherzare.
Ecco cosa c’è.
Voglio continuare a provare, 1,2,3,4,5 volte, fallendo se necessario 1,2,3,4,5 volte.
Fallendo ogni volta meglio della volta prima, perché chi non rischia non vince, e chi rischia non perde mai.
Forse ci sarà da correggere il tiro, ma siamo abbastanza duttili da adattarci e creare nuove situazioni.
Questa volta con Gipsy ha cucinato Giotto, di The Atelier. Ci è mancata la sua meravigliosa Patricia che all’ultimo è stata male, però abbiamo fatto un piatto di spaghetti alle vongole su passatina di ceci, che Giotto non ha fatto altro che ripetere quanto gli piace cucinare per la sua Patricia.
Quindi ecco, una ricetta da napoletani Doc, con una rivisitazioni a tributo della nuova generazione.
Abbiamo messo le vongole a spurgare per circa un’ora dalla sabbia e dalle impurità.
Soffriggiamo l’aglio con olio evo, e mettiamo le vongole. Lasciamo cuocere per circa venti minuti, e aggiungiamo i pomodorini e qualche bicchieri di vino bianco.
Nel frattempo facciamo un trito di cipolla che faremo addolcire e imbiondire in abbondante olio evo, per poi aggiungere i ceci. Aggiungiamo acqua a filo e appena ammorbiditi, passiamo con l frullatore a immersione fino a quando otterremo una purea.
Facciamo bollire l’acqua e cuociamo gli spaghetti. Scoliamo.
Impiattiamo prima componendo un letto di vellutata, poi gli spaghetti e infine le vongole con il pomodoro.