Karoo / Steve Tesich; trad. di Milena Zemira Ciccimarra. Milano: Adelphi, 2014.
Steve Tesich è un famoso sceneggiatore di Hollywood; Saul Karoo, il protagonista di questo romanzo, è anche lui uno sceneggiatore di Hollywood, o meglio è un riscrittore, dal momento che a lui il produttore Jay Cromwell affida le sceneggiature che necessitano di essere risistemate, corrette o parzialmente riscritte. Il romanzo racconta il tentativo di Karoo – attraverso la rielaborazione del girato di un regista al suo ultimo lavoro – di riscrivere la propria vita e il proprio futuro.
Il risultato è un gioco di scatole cinesi, infilate l'una dentro l'altra, o – meglio ancora - una originale operazione di meta-letteratura (o forse dovremmo dire di meta-sceneggiatura?), attraverso la quale Tesich ci propone un'intensa riflessione sul rapporto tra la vita e il racconto della vita, tra la realtà e la sua narrazione.
La sua è una specie di dichiarazione di amore e contemporaneamente di odio nei confronti della narrazione, straordinario strumento di analisi della realtà, ma anche di manipolazione.
Senza la costruzione di una narrazione ci sarebbe il nulla, perché scrivere storie è un atto di creazione e riscriverle è un atto di rinnovata creazione; ma questo processo creativo è una specie di arrogante presunzione dell'uomo, finalizzato a dare senso a una realtà priva di senso.
Esiste una realtà al di là delle storie che raccontiamo su di essa? E dove sta la verità della vita, nelle cose che accadono o nel racconto delle stesse? Talvolta, la manipolazione della realtà che si compie attraverso la narrazione può infatti apparire ed essere percepito più vero della realtà stessa.
Come giustamente mi fa notare la mia amica I., Saul Karoo ha molto dei personaggi pirandelliani, per le maschere che indossa più o meno consapevolmente e perché, nell'abitudine a interpretare ruoli di altrettante storie, ha totalmente perso di vista se stesso, antieroe invecchiato come il suo Ulisse fantascientifico alla deriva nel nulla dello spazio-tempo di cui sta scrivendo.
In Karoo – come invece fa notare la mia amica A. che ne ha scritto qui – c'è anche molto dell'uomo contemporaneo che nelle dinamiche sociali della rete diventa in qualche modo sceneggiatore di se stesso e della propria vita, costruttore di identità, distillatore di emotività, facendosi parte di quel meccanismo creativo che sarebbe semplicistico bollare come finzione e che invece spesso porta alla luce un'essenza che la vita reale talvolta diluisce e di conseguenza nasconde.
Dove siamo noi, nell'intersezione delle narrazioni che facciamo di noi stessi e di quelle che gli altri fanno di noi? E le nostre emozioni stanno nella vita o nel racconto della vita, all'interno di noi o nel guardare noi stessi?
Riflessione attualissima e contestualmente senza tempo, di per sé destabilizzante per i sentimenti obliqui che produce, sulla gloria e al contempo sulla condanna dell'essere umano cui è stata data la capacità di guardarsi dall'esterno e di riflettere sulle proprie azioni.
Le mie citazioni preferite:
Adesso sono soltanto le bugie che raccontiamo a rivelare chi siamo. (p. 103)
Continuando a non dire assolutamente nulla in una varietà di modi diversi, è come se coltivassi la speranza di avere qualcosa di essenziale da esprimere al momento giusto. (p. 133)
In un certo senso essere pienamente informati è così appagante che diventa fine a se stesso. Invece di generare una reazione, la preclude. (p. 138)
Un uomo e una donna. Entrambi erano, come loro stessi dicevano, felicemente sposati. Poi, per caso, si erano conosciuti, e tra loro era nata la visione di un altro tipo di vita e un altro tipo di amore. Era come se a un certo punto le loro anime si fossero spaccate in due, e proprio quando si erano ormai adattati trovando un modo per essere felici con mezza anima, avessero incontrato la persona in possesso dell'altra metà. I due bordi strappati, come quelli di una mappa del tesoro, combaciavano alla perfezione.
A quel punto non potevano più tornare indietro. Una volta sperimentata la sensazione di essere interi, non potevano fingere che non fosse successo. (p. 146)
L'unica descrizione appropriata per quello che avevo fatto era che avevi creato il nulla, ma un nulla di un fascino così ampio e accessibile da poter passare per qualunque cosa. (p. 259)
I matrimoni sbagliati sono un vero prodigio; riescono a farti sentire a casa anche quando una casa non ce l'hai. (p. 284)
La sua apertura, la sua nudità, è troppo per me, e così cessa di essere un'apertura. (p. 300)
Ho bisogno di una pausa dall'essere.
Tutti, penso, ne hanno bisogno ogni tanto. (p. 327)
Stiamo celebrando qualcosa, forse la vita, o forse il fatto che apparteniamo tutti all'industria dello spettacolo, la grande religione unificante del nostro tempo. (p. 327)
Adesso gli serve quella piccola carica di energia in più che solo un pubblico può darti. (p. 330)
Una volta che diventa pubblica, a una storia può succedere di tutto. (p. 374)
Le storie pubbliche sono diverse da quelle private. Le storie pubbliche, per loro stessa natura, non sono solamente storie, ma storie di storie, sottratte una o due volte ai protagonisti. (p. 374)
Come se adesso l'intimità fosse possibile solo in pubblico, dove può essere allo stesso tempo creata e verificata negli occhi degli sconosciuti di passaggio. (p. 383)
La storia pubblica faceva sfigurare la sua esperienza privata. Lo spingeva a chiedersi se non dovesse adottarla come versione accreditata dei fatti e delle persone che ritraeva. (p. 402)
Con un minimo di allenamento ce l'avrebbe fatta a diventare anche in privato, ai suoi stessi occhi, la persona che era ritenuta in pubblico. (p. 403)
La vita non appare priva di significato, semmai ne è così ricca che il suo significato deve essere costantemente ucciso per il bene della coesione e della comprensione.
Per il bene della trama. (p. 413)
Il problema era che li aveva amati e desiderati così a lungo che quell'amore in contumacia era diventato per lui un modo di vivere e un modo di amare. (p. 447)
Voto: 4/5