«Con la mia iniziativa ho voluto denunciare un problema universale, la violenza sulle donne - mi ha raccontato in un'intervista pubblicata su Vero -. Il mio vuole essere un messaggio per le donne abusate, per dire loro che c’è sempre una speranza, che non bisogna piegarsi alla violenza. Se io posso correre attraverso i deserti, anche loro possono farcela ad alzare la testa. Adesso che il progetto si è concluso spero di poterne ricavare un documentario o un libro. Mi piacerebbe anche trovare dei sostenitori per andare avanti e magari convincere altre donne a correre insieme a me».
Perché le donne e non un’altra causa?
«Volevo legare la mia corsa a qualcosa di concreto. Un giorno mentre correvo nel deserto del Mali, passando nella regione della popolazione del Dogon, ho incrociato lo sguardo di una donna. Il suo sorriso di complicità mi ha segnata facendomi rendere conto del senso di appartenenza tra le donne di tutto il mondo».
Lei ha conosciuto donne abusate?
«Mi è capitato che una donna mi abbia raccontato di essere stata abusata da bambina. Ma questi non sono argomenti facili. Però se le percentuali diffuse sono reali, a tutti noi è capitato di posare gli occhi su una donna abusata. Questo è terribile. Ed è assurdo che di tutto questo si parli così poco».
Nessun episodio personale…
«No, ma io ho sempre avuto terrore che potesse capitarmi qualcosa. Per questo a 14 anni mi sono iscritta a karate fino ad arrivare alla cintura nera secondo dan. Ancora oggi quando corro nel deserto non ho alcuna paura degli animali, ma ne ho molta degli uomini».
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