Magazine Cinema
(La stregoneria attraverso i secoli)
1922
Danimarca, Svezia
Regia: Benjamin Christensen
Scritto: Benjamin Christensen
Particolare esperimento nordeuropeo di miscuglio di generi, che ha il merito, a nostro parere giusto, di figurare, secondo celebri punti di riferimento cinematografico, fra i migliori cento horror della storia. Ma la definizione gli va stretta, è infatti un'opera equamente divisa fra documentario e fiction, con l'intento di ricostruire l'evoluzione della stregoneria nel tempo, inframezzando il tutto con una storia sullo stesso tema. Fonda la parte documentaristica sugli studi compiuti da Christensen, eccitati dall'acquisto del Malleus Maleficarum, libro tedesco del XV secolo scritto in latino, che era una sorta di guida all'Inquisizione. Lunga gestazione ha avuto lo script, dal 1919 al 1921.
Monumentalmente diviso in sette capitoli, fa originale uso di illustrazioni, foto di statue e modellini, dettagli di oggetti da tortura, atti a descrivere la base del mondo stregonesco, demoniaco e inquisitorio, partendo dai persiani e passando per l'idea antica di Terra, Universo ed Inferno e dando forte risalto al Medioevo, periodo culmine per questo tipo di credenze. Tutto spiegato con tanto di bacchettina per indicare, scelta dal voluto taglio informativo. Si arriva anche all'era moderna, con l'idea vieppiù diffusa di come quelle che si definivano manifestazioni sovrannaturali in realtà fossero malattie mentali sconosciute, quali la cleptomania, la piromania e quella che tempo fa era definita isteria, aggiungendo anche gli squilibri prettamente fisici, come l'insensibilità di alcune parti del corpo e le deformazioni. Coraggiosi poi certi parallelismi, come quello dei medici/inquisitori o delle docce bollenti degli istituti di cura, pratica forse in uso tempo fa, con il rogo.
E questa è il lato documentaristica, non dirà cose nuovissime per i nostri giorni, non sarà accuratissima, ma è comunque un ripasso che non fa male.
Le parte di finzione, divisa in diverse storie, è un filo più caotica. Il grosso parla di un'anziana accusata di stregoneria da una famiglia, poi inquisita da monaci, rea confessa e accusatrice a sua volta di chi l'aveva denunciata, ma c'è anche una prima parte con una strega sognante e donatrice di pozioni d'amore per perpetue che voglio sedurre preti, ed un'altra, molto bella, di un convento di suore infestato da Satana.
Dicevamo della parte principale, l'attrice protagonista è una bravissima non professionista, tale Maren Pedersen, fioraia, che racconta di sabba resi visivamente in maniera affascinante, fra voli di scopa ed orge, con make up e doppie esposizioni di assoluta rilevanza, tant'è che il regista ringrazia il direttore della fotografia Johan Ankerstjerne e l'art director Richard Louw nei titoli iniziali, dove, per inciso, compare anche lui stesso. Il gusto tecnico è ben presente per tutta la durata, molta cura riposta nelle dimensioni del campo, in 1.33:1, ristretto all'occorrenza da mascherini.
Riproposto in Danimarca con una nuova introduzione nel 1941, poi nel 1968 con tanto di narrazione del celebre scrittore William S. Burroughs, ha fatto la classica trafila per i film muti del continuo cambio della colonna sonora: dagli accompagnamenti dal vivo delle prime proiezioni fino a riedizioni jazz, sperimentali, ecc.
Costato la bellezza di 22 milioni di Corone svedesi di allora, circa due milioni e mezzo di Euro attuali, fu un grande successo in Danimarca e Svezia, fu invece inizialmente osteggiato negli Stati Uniti per le libertà descrittive.
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