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Kazoku no kuni (家族の国, Our Homeland)

Creato il 18 febbraio 2012 da Makoto @makotoster

Kazoku no kuni (家族の国, Our Homeland)Kazoku no kuni (家族の国, Our Homeland). Regia e sceneggiatura: Yang Yong-Hi. Fotografia: Toda Yoshihisa. Musiche: Iwashiro Taro. Interpreti: Andō Sakura, Arata, Yang Ik-June, MiyazakiYishiko, Tsukayama Masane, Kyono Kotomi. Produttori: Satō Junko, Koshikawa Michio. Durata: 100 minuti. Anno: 2012 - 62° Berlin Film Festival (9-19 febbraio 2012)
Una figura di donna forte e coraggiosa che combattela sua battaglia personale contro un sistema e un destino, che schiaccianoragioni e sentimenti (interpretata da una convincente Andō Sakura, giàprotagonista in Love Exposure di SonoSion), un uomo piegato su se stesso a causa di quello stesso sistema che lo hareso una vittima “che non pensa, che vuole solo sopravvivere” (Arata, loricordo alle prese con un personaggio enigmatico in Distance di Koreeda) e che per gran parte del tempo appare preda diun frastornamento che lo rende inabile a qualsiasi reazione.Sono loro i due fratelli, Rie e Son-Ho, protagonistidel primo fiction film di Yang Yong-Hi presentato in anteprima mondiale alla62ma Berlinale, dopo i documentari DearPyongyang  del 2005 e Sona, the other myself del 2009, giàincentrati sulle vicende della famiglia della regista, divisa tra Giappone eCorea del Nord (Paese nel quale a Yang Yong-Hi è al momento vietato rientrare,ma dove si trovano i suoi fratelli).La vicenda – che ricalca ancora quella della registae della sua famiglia - prende spunto dal periodo, intorno alla fine degli anni’50, durante il quale molti coreani residenti in Giappone furono indotti atrasferirsi in Corea del Nord, allettati dall’idea di maggiori possibilità, peresempio in termini di istruzione, di maggior benessere e soprattutto della finedelle discriminazioni nei loro confronti. Son-Ho, il fratello di Rie, è appuntouno di quelli che erano stati rimpatriati, giovanissimo, mentre la famiglia erarimasta in Giappone. Dopo 25 anni di separazione il ragazzo ottiene, anchetramite l’associazione di coreani residenti in Giappone nella quale lavora ilpadre, il permesso di tornare nel Paese dove risiede la famiglia per un visitadi tre mesi durante la quale dovrebbe essere sottoposto a trattamenti mediciper una grave malattia che gli è stata diagnosticata. Dopo pochi giornidall’arrivo però, Son-Ho, guardato a vista durante il suo soggiorno giapponeseda un “supervisor” nordcoreano (interpretato dall’ottimo Yang Ik-June), saràcostretto, a causa di un ordine improvviso ed inspiegabile, a fare rientro inNord Corea.Un film coraggioso (la stessa regista, nelpresentare la propria opera, ha ammesso di essere consapevole che il suo lavoropossa far diminuire le possibilità di rivedere i suoi familiari, ma ha aggiuntodi preferire la denuncia, per dimostrare loro il suo amore, rischiando comunquecosì facendo di non poterli più riabbracciare), struggente, a tratti lievementemelodrammatico, che “dispiega” i vari nodi delle relazioni in modo efficace:quella, intensa, tra i due fratelli così diversi per carattere e approccio allavita, quella dei figli nei confronti di un padre rigido e intransigente – cheSon-Ho affronta in un unico drammatico momento prima parlandogli da dietro unatenda e poi lasciando che la rabbia sfugga al controllo -, quella nei confrontidi un sistema politico-burocratico, che non sente ragioni di umanità e calpestale speranze. Non mancano gli accenni nostalgici ad un passato ormaidefinitivamente perduto, ai tempi degli studi, durante una riunione con ungruppo di vecchi amici tra i quali anche Suni, il primo amore di Son-Ho. Laregista indugia sui due personaggi, “avvolge” Son-Ho, appena arrivato nelquartiere, mentre scende dall’auto e percorre a piedi gli ultimi metri che loseparano dalla casa dei suoi e dalla madre, apparsa sulla soglia; lo“schiaccia” contro una parete di palloni colorati, in un negozio nel quale si èrecato per comprare un regalo da portare a casa al proprio figlio, accentuandocosì il contrasto col pallore del suo volto che lo fa apparire un fantasma didesolazione. Rie – evidente alter ego della regista - è invece quella chesmuove le acque della rassegnazione dei familiari: in una bella sequenza esceda casa per affrontare il “vigilante” e proprio in quel momento le foglie dellapianta rampicante che ricoprono interamente le pareti esterne  dell’edificio si muovono investite da un ventoimprovviso; è ancora lei che accusa apertamente il padre, lei che cerca diopporsi – fisicamente - alla partenza del fratello. Nella scena che conclude ilfilm la ragazza va a comprare quella valigia che a Son-Ho piaceva e cherappresenta l’idea stessa della partenza, delle nuove opportunità, ma anche ilpeso angoscioso della perdita, che trascina con sé per la vita chi è costrettoa subirla. [Claudia Bertolè]

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