Questo è un post emotivo. Non si prefigge alcun commento tecnico sulla storia: d'altronde non sono un critico di fumetti e questo blog non ha mai avuto l'ambizione di esserlo. Questo blog è nato come omaggio a Ken Parker, il mio fumetto preferito, ma è stato anche un posto dove mettere nero su bianco le mie impressioni di lettore appassionato di fumetti. E anche questa che sto scrivendo è un'impressione, ma ricca di emozioni, molto più del solito. Il perché è ovvio: l'umana avventura di Ken ha avuto un termine. L'ho atteso per tanti anni, questo epilogo. Ho intervistato anche i due autori, Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo, sperando vanamente e ingenuamente di estorcere qualcosa. E poi finalmente è accaduto. Venerdì sera, 10 aprile, ho atteso che ogni rumore della casa scemasse e ho girato la copertina di Fin dove arriva il mattino. Ogni tavola è stata una sassata emotiva. Rivedere libero Ken mi ha suscitato un grande sollievo. Riconoscere il suo profilo, seppur stanco, sul cavallo e poi il primo piano del suo viso mi ha commosso. E' stato come riabbracciare un vecchio amico, che si sapeva lontano e si dubitava perfino di poter ritrovare. E invece Ken era di nuovo in sella e io a fianco a lui.
E poi si è sviluppata l'ultima avventura di Ken. Una storia durissima, violenta, un pugno nello stomaco. Una storia in cui Ken si mostra in tutta la sua fragilità. Vent'anni di prigione cambiano irrimediabilmente una persona. E nemmeno Ken sfugge a questa regola. Come potrebbe? Ken non è mai stato un invincibile eroe, ma è statosempre e soltanto un uomo, con tutti i difetti e tutti gli ideali, con tutti gli errori e tutti gli slanci di cui un essere umano è capace. Questo è Ken: non un personaggio di carta, ma una persona vera, viva, reale. Solo una persona reale con i suoi sessant'anni, e non un eroe di carta con la sua eternità, avrebbe potuto sopportare le violenze che i suoi ex compagni di galera, più giovani e numerosi di lui, perpetravano sistematicamente sulle due donne che avevano rapito. Un lettore che non conosce Ken avrebbe perfinopotuto pensare ad una sua complicità, si sarebbe domandato "Ma che razza di personaggio è questo Ken? Perché non reagisce subito, salva le donne e uccide tutti i cattivi?". Perché non può, perché non ce la fa, perché deve aspettare il momento propizio per provarci. E quando questo si presenta, non esita a giocarsi il tutto per tutto per tentare di salvarle. E ci riesce: le donne, Olivia la madre e Frances la figlia, sono vive e gli ex galeotti tutti morti. Non li ha uccisi tutti Ken, non avrebbe potuto nelle sue condizioni, una mano gliel'ha data lo sceriffo e la posse che stavano dando loro la caccia.Ma alla fine capita l'imponderabile. L'imprevedibilità della vita, quell'elemento della nostra esistenza che sa regalare grandi gioie ma anche profondi dolori, ciò che, secondo Sartre, rende possibile la nostra libertà di uomini, ci porta via Ken. Non è immaginabile il dolore prodotto dalle ultime tavole di Fin dove arriva il mattino. E' lo stesso che si prova quando muore un amico, quando rimani solo, quando sai che non lo rivedrai mai più. Perché è così: non rivedremo Ken mai più, in nessuna altra storia, perché Ken è morto. Ma abbiamo avuto il privilegio di essergli a fianco mentre ci lasciava. Dopo tanto dolore nelle tavole precedenti, e nonostante la fine stia ormai per arrivare, Ken ci lascia con grande dignità. Forse è proprio questo aspetto che mi ha commosso di più. La luce dopo tante tenebre, è data ancora una volta dall'ennesimo gesto di umana solidarietà con cui Ken ci saluta. Seduto con la schiena appoggiata alla ruota di un carro, la casacca bianca ormai intrisa del suo sangue, Ken chiede a Olivia di poterle tenere la mano. Avevamo capito, lungo la storia, che fra i due era nato un sentimento e, un po', avevamo sperato in un lieto fine. Ma Ken non ha mai avuto dei finali consolatori, Ken non è nato per confortarci, ma per raccontare la vita, le persone, con tutto il bene e il male che ci sta dentro. L'ultimo Ken che ci si para davanti agli occhi è lì, con una donna al suo fianco, a cui tiene stretta la mano, e di fronte a loro l'alba, le prime luci del mattino. Ken sta per morire ma è sereno. Sa di aver vissuto con pienezza la sua vita, di aver dato tutto quello che poteva dare, di aver cercato, con tutti i propri limiti, di rendere il proprio mondo un po' migliore, di essersi speso per gli altri, di aver gioito con loro e di aver pianto per loro. E quindi può morire in pace, privilegio di pochi.
Non c'era altra fine possibile per Ken Parker. Alcuni lettori in rete si stanno già lamentando che non è giusto che Ken dopo vent'anni di prigione muoia così, che era suo diritto, dopo tante sofferenze, poter continuare a vivere, magari vicino al figlio Teddy o all'indimenticabile Pat. Altri accusano Berardi e Milazzo di essere stati irriconoscenti nei loro confronti e nella loro quasi ventennale pazienza, tradita da una fine così tragica del loro eroe. Altri ancora pensano che fino a quando non si vedrà un certificato di morte di Ken, allora si può ancora sperare in una ricomparsa di Lungo Fucile. Cazzate! Grandi, enormi cazzate! Cazzate scritte da chi considera Ken come un classico personaggio d'avventura del fumetto popolare, dimostrando di non averlo per niente capito. Ken non c'entra niente con gli eroi dei fumetti che conosciamo. Ken è andato oltre, anzi, non ci è mai arrivato ad essere un eroe perché lui è, semplicemente, una persona. Che vive, e che poi muore. E Fin dove arriva il mattino è la storia della sua morte. E non rompete le palle con i disegni di Milazzo che son troppo espressionistici e che le mani son troppo grosse e che questo e che quell'altro. I disegni di Milazzo rendono tutta l'intensità e la tragicità della storia. E le due tavole finali sono le più belle che abbia mai disegnato.Questo è un post emotivo, un post di uno che ha amato tanto Ken Parker, che l'ha considerato come un amico, un compagno di viaggio, una persona con cui confrontarsi. E che adesso lo saluta, per l'ultima volta.
So long, Ken!