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Kenya /Congiunzioni difficili ma non impossibili

Creato il 08 gennaio 2015 da Marianna06

 

 

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Chi scrive conosce abbastanza quella parte di territorio del nord-est del Kenya, nell’area che comprende  le cittadine di Mandera, Wajir, Garissa, prossime al confine somalo.

Si tratta di zone aride e inospitali,  decisamente molto povere. Luoghi dove  manca di tutto e dove frequentare la scuola o guarire da una banale malattia, come può essere il morbillo per i piccoli, non  è di certo cosa agevole. Per tacere dei periodi di ricorrenti carestie, dovute ai capricci di un clima impietoso,alla cui mutevolezza bizzarra, com’è noto, anche il resto del mondo concorre con i propri egoismi di maniera.

In quell’area, negli anni ’70, operava con il suo personale sanitario  il Cuamm di Padova, il Collegio Universitario Aspiranti Medici Missionari ed erano presenti i missionari della Consolata.

Oggi, nonostante l’impegno profuso per molti anni da tanti generosi “samaritani”,che si sono succeduti laggiù, le cose in quei contesti non sono affatto migliorate. Semmai è accaduto il contrario.

Ossia gli eventi storici non sono andati proprio nella direzione sperata e una popolazione giovane, che non sa come riuscire a costruire il proprio futuro, si è trovata, da un po’ di tempo a questa parte, in grosse difficoltà.

E le notizie del disagio con le sue inevitabili conseguenze, grazie alla globalizzazione dell’informazione, arrivano, rispetto ad una volta, molto velocemente anche da noi.

I residenti  di Mandera e di Wajir sono keniani ma soprattutto  somali. E, per la precisione, la maggioranza, di chi abita le realtà di cui sopra, sono di mestiere mercanti e pastori. Che ben poco, oggi come oggi, a causa di una enorme crisi generalizzata, hanno da vendere e/o da comperare.

Ossia non si fanno affari e quei pochi,che si riesce a realizzare,fanno scattare assurde competizioni tra le due componenti. Insomma autentiche guerre tra poveri.

E qui, allora, che scatta l’intrusione del fondamentalismo islamico, che non ha difficoltà alcuna a fare proseliti.

La mala pianta (il fondamentalismo islamico) è quella che prende il nome di al Shabaab, una costola di  al Qaida, quella africana, tristemente nota, con differenti denominazioni, anche in altri contesti del continente.

E cioè Africa occidentale (Mali-Niger-Nigeria etc.) e Africa del Maghreb.

Per chi non ha niente, ha solo vigore fisico per l’età ed è credulone, perché in gioventù non può che essere così, specie se si sogna un probabile avvenire differente dallo stato d’indigenza in cui si è, il reclutamento è un gioco.

E le file degli al Shabaab in questo modo s’infoltiscono.

Oltre al nord-est del Kenya, in molte altre città del Paese, le moschee, tradizionali luoghi di culto per i musulmani, si trasformano in madrasse, ossia scuole coraniche di un Islam male inteso, in cui fanno da maestri  quasi sempre degli imam faziosi e politicizzati, nonché incolti, pronti a fare del Corano una lettura distorta e capziosa.

Il peggio è che si fa leva per il reclutamento giovanile su di un sentimento religioso confondente e confuso.

E che ricade nelle menti e nell’immaginario di persone inclini al fanatismo e prive, quindi, di capacità di giudizio per via di una scarsa , se non nulla, alfabetizzazione.

C’è poi un altro Kenya. Il Kenya turistico costiero, quello che include la città di Mombasa,importante porto, e poi la nota Malindi,frequentatissima da molti nostri connazionali e, infine, l’arcipelago di Lamu, anch’esso meta di turisti.

Questo, come è intuibile, è un Kenya un po’ più ricco e che, proprio per queste motivazioni, ambirebbe all’autonomia politico-amministrativa. E che ha fatto sentire da parecchio tempo a questa parte le sue proteste, scendendo in piazza con manifestazioni che sono ,comunque, finora rimaste inascoltate.

E accade, allora, che la qualità della vita in codeste zone turistiche, a causa del benessere ostentato, risenta sempre più frequentemente delle scorrerie dei fondamentalisti islamici, i cosiddetti “pirati” che, col piccolo cabotaggio, fanno incursione nei villaggi e nelle case dei ricchi allo scopo di autofinanziarsi e ricorrono, senza troppi scrupoli, se necessario, anche all’omicidio facile. Com’è già accaduto più volte.

E, ancora, ci sono i villaggi rurali dell’interno (poca agricoltura, appena di sussistenza, e molta pastorizia) che, a causa della povertà, mettono in piedi scontri cruenti tra differenti etnìe, che le autorità ufficiali giustificano poi con i classici furti di bestiame.

Infine c’è il Kenya di Nairobi e del successo tecnologico e della modernizzazione tout court. L’Africa, come dicono i più,che studiano il fenomeno, che cammina con le sue gambe.

Il Kenya delle banche e delle università, dei grandi centri commerciali, dove il ricco,il turista o l’autoctono che sia, trova senza problema  tutto ciò che desidera e  può fare acquisti.

Quello che, volgendo altrove il suo sguardo, è incurante della miseria delle baraccopoli delle periferie.

Ed è quello che, corruzione a parte della lobby dei politici, potrebbe far ben sperare.

Sempre che riuscisse, però, a comporre in armonica unità  i molteplici tasselli del “mosaico” Paese. E, in particolare, s’impegnasse a combattere con ogni mezzo, senza risparmio di forze, un fondamentalismo assurdo e tutto d’importazione, che cela un disegno politico prestabilito, che nasce altrove e che niente ha  a che fare con la cultura e le aspirazioni di un popolo che, pur con qualche scaramuccia di troppo, è riuscito per anni a convivere, bene o male, con popolazioni “altre”. 

                              Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

       

     

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