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Khmer DJs, vite violente sospese tra Stati Uniti e Cambogia

Creato il 20 maggio 2015 da Pietro Acquistapace

Boomer, Boney, Dicer, Spooks e Seattle sono i soprannomi di alcuni dei protagonisti di una storia poco conosciuta, quella dei cambogiani espulsi dagli Stati Uniti e costretti a vivere in un paese che non è il loro. Arrivati negli USA in fuga dagli orrori della Kampuchea Democratica, come veniva chiamata la Cambogia ai tempi di Pol Pot, oggi molti di quegli esuli vedono i loro figli rimpatriati a forza verso un paese dove spesso non sono nemmeno nati, avendo visto la luce nei campi profughi a quel tempo allestiti in Thailandia. Una volta in Cambogia si trovano di fronte ad una realtà per loro sconosciuta.

Tutto ebbe inizio nel 1996, quando gli USA decisero di facilitare l’espulsione di detenuti e condannati non cittadini americani. Poco importa che le persone di cui stiamo parlando non fossero clandestini ma figli di rifugiati politici, l’importante era mandarli fuori dagli Stati Uniti. Ma il dramma venne quando, nel 2002, la Cambogia venne costretta a siglare un accordo per l’estradizione, pena la ritorsione americana sui visti d’ingresso concessi ai cittadini cambogiani. Sorsero quindi campi appositi come il Tacoma Northwest Detention Center e le procedure vennero riviste per velocizzare le condanne.

Nel primo decennio gli espulsi furono 400 ma il processo non si ferma, ancora nel 2014 i khmer espulsi dagli Stati Uniti furono 75, mentre quelli a rischio del provvedimento sono ben più di 1000. In Cambogia questi ragazzi provenienti da ambienti difficili, ricoperti di tatuaggi e spesso senza alcuna cognizione della lingua e della cultura del paese sono chiamati DJs, anche per via dell’importanza che la musica rap riveste nelle loro vite. Con alle spalle un passato di gang giovanili questi né americani né cambogiani portano con sé lo stile della strada, come l’hip-hop o la street art.

L’arrivo in Cambogia è per loro quasi sempre traumatico, alcool e droga a buon mercato li fanno ricadere nell’abuso e nella violenza. Se i DJs possono essere trovati nei luccicanti locali della Street51, la via del sesso facile di Phnom Penh, dall’altra nascondono un’esistenza di miseria e difficoltà, spesso conclusa con il suicidio o la ridiscesa nell’inferno della prigione. Per aiutare queste persone sono nate delle associazioni volontarie come il RISC (Returnee Integration Support Center) finanziato dagli stessi Stati Uniti, o per meglio dire dall’USAID.

Tuttavia quasi un terzo degli espulsi dall’America trova nel ritorno in Cambogia una seconda possibilità, riuscendo a reinventarsi formando una famiglia, lavorando oppure realizzando dei propri progetti. È questo il caso di Boomer, rapper co-fondatore di Straight Refugeez un’associazione per la promozione della cultura hip-hop in Cambogia, oppure di KK, originario di Long Beach in California, una delle maggiori comunità khmer degli Stati Uniti, che tramite la sua organizzazione Tiny Toones insegna breakdance ai bambini e ne cura la scolarizzazione.

Queste persone, cosiddette poco di buono, devono lasciare il paese in cui sono cresciuti per un paese in cui non sono mai stati, destinati a non essere pienamente integrati in nessuno dei due. La capacità di reagire alla perdita delle famiglie, degli amici ed anche dei figli sta in ognuno di loro, ma non a tutti è destinato un lieto fine. Per la maggior parte delle persone i DJs sono dei criminali, dei piantagrane indesiderati, eppure dietro ai loro tatuaggi ed ai loro modi da gangster nascondono storie molto tristi. Nella speranza che la Cambogia possa per loro essere un punto di partenza e non un punto d’arrivo.


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