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Kiev, la nuova “Stalingrado” della Russia

Creato il 30 dicembre 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Kiev, la nuova “Stalingrado” della Russia

Dal nostro corrispondente a Kiev

 
Il 21 novembre 2013 Kiev ha sospeso la stesura dell’accordo di associazione UE-Ucraina. Tale è stata la decisione del Gabinetto dei Ministri dell’Ucraina. Inoltre, sono state date istruzioni ai ministeri competenti per riprendere il dialogo con i Paesi membri dell’Unione Doganale1.

Era impossibile non prevedere, come reazione a questo preciso atto politico, un’esplosione di protesta da parte, soprattutto, dei sostenitori dell’integrazione europea. Da quella data, manifestazioni di massa si susseguono quasi ininterrottamente nella piazza centrale di Kiev, la piazza Maidan, soprannominata “Euromaidan” in una specie di riedizione della “rivoluzione arancione” del 2004.

Il concetto di “rivoluzione colorata” non va equivocato, la piazza Maidan non è stata “invasa” da istigatori stranieri. Le rivoluzioni colorate, infatti, spesso incorporano sacche di malcontento reale tra la popolazione, ma va detto però, che vengono favorite dall’azione di organismi ambigui, come fondazioni private, Ong, associazioni che operano apparentemente nel campo dell’umanitario e dei diritti umani.

A distanza di nove anni esatti l’Ucraina si trova a rivivere lo stesso momento di turbolenza, sostanzialmente sempre per il medesimo motivo: la presenza nel Paese di due posizioni diverse che non riescono a conciliare le loro istanze, oltre alla cronica mancanza di determinazione, da parte dei vari governi, d’individuare un chiaro percorso univoco. Di fatto, tale inerzia destina il Paese ad una costante oscillazione verso i due orientamenti presenti: l’Europa da una parte, la Russia dall’altra senza mai arrivare a una posizione risolutiva.

L’economia ucraina sta già vivendo momenti difficili, il Pil è in continua diminuzione, l’enorme debito pubblico sta strangolando il Paese… Il Paese ha un disperato bisogno di assistenza finanziaria esterna; nonostante ciò, saggiamente, il governo ucraino ha però ritenuto che firmare l’accordo per istituire una zona di libero scambio con l’Unione Europea avrebbe portato ad un aggravamento della situazione economica del Paese. La stessa UE, a sua volta, non sta vivendo momenti particolarmente facili, al suo interno vanno sempre più accumulandosi tensioni per nulla rassicuranti sulla sua integrità, e, fatto ancor più grave, non esiste una reale visione di come fermare questo processo degenerativo.

L’Ucraina ha frontiere aperte con la Russia, le due popolazioni si muovono liberamente attraverso il confine. L’abolizione dei dazi tra UE ed Ucraina provocherebbe un grande afflusso di prodotti europei sul mercato russo a prezzi non gravati dai dazi, rendendo così necessario, da parte russa, l’introduzione di misure protettive nei confronti dell’Ucraina. Per di più, la UE ha tutta una serie di norme che rendono i prodotti ucraini inadatti alla vendita e al consumo in Europa. Tutto ciò comporterebbe gravi perdite per la già provata situazione economica del Paese, anche in considerazione del fatto che l’accordo di libero scambio con la UE escluderebbe i prodotti agricoli, che per l’Ucraina rappresentano una delle maggiori merci di esportazione.

L’industria ucraina, nonostante il suo grande potenziale economico2, non è competitiva con quella dei Paesi europei. L’accordo di adesione con la UE provocherebbe un ulteriore peggioramento della bilancia commerciale del Paese. Tale impatto colpirebbe maggiormente le regioni orientali, polmone industriale dell’Ucraina. Oltre a ciò, il Paese non dispone affatto dei fondi necessari, stimati dagli analisti economici ucraini intorno ai 150 miliardi di dollari (che nessuno in Europa pagherà mai), per allineare l’industria nazionale agli standard europei3.

Ai tempi dell’URSS, quando la Russia e l’Ucraina formavano un unico Paese, insieme costruivano navicelle spaziali per la conquista del cosmo; nella cornice dei programmi di cooperazione economica e scientifica con l’URSS, l’Ucraina arrivò ad avere un ruolo di fucina nel campo delle scienze e della tecnica, e di base per la realizzazione di grandi complessi industriali: nell’elettronica, nella produzione missilistica e nella cantieristica navale4… ora la situazione è decisamente diversa.

Col passare dei giorni le proteste in piazza Maidan si sono progressivamente rafforzate assumendo l’aspetto di un serbatoio carico di rancori e di rivendicazioni: dall’adesione all’UE, fino alla destituzione del presidente Victor Janukovič e del primo ministro Mykola Azarov, con la richiesta di nuove elezioni. Il denominatore comune che anima la protesta è un palese sentimento anti-Russia.

Altrettanto variegata è la composizione dei manifestanti: dagli ultranazionalisti, fino ad esponenti dei movimenti liberali, filooccidentali, che montando tende e bivacchi hanno occupato stabilmente piazza Maidan sbarrandone gli accessi con barricate. La maggior parte di loro provengono dalle zone occidentali del Paese; nei giorni festivi, si uniscono a loro anche gli abitanti di Kiev di orientamento filoeuropeo. Non è mancata, nel Parco Mariinskij, pochi minuti a piedi da piazza Maidan, una contromanifestazione a difesa delle scelte del presidente Janukovič.

Non è difficile individuare, tra i manifestanti, quelle fascia sociale di popolazione più povera, che in caso di una reale integrazione europea dell’Ucraina, verrebbe immediatamente spazzata via in una ancor più grave povertà. I manifestanti continuano a invocare l’Europa come se si trattasse di una specie di Eden. Purtroppo è una convinzione che nasce più da fattori emotivi, di tipo russofobo, che da reali motivi, invece, di tipo economico in base alle reali prospettive che una possibile integrazione europea comporterebbe per tutta la popolazione.

In piazza, al di là degli slogan d’effetto, urlati dai vari relatori che si susseguono sul palco, inneggianti alla patria, al nazionalismo, agli eroi ucraini… non si sentono discorsi programmatici che possano evidenziare, invece, quali gli effetti concreti di tale integrazione valutati senza pregiudizi o preconcetti ideologici. È paradossale il fatto che, in Ucraina, coloro che si definiscono “nazionalisti” ambiscano così vivamente all’integrazione con l’Europa, inconsapevoli, “forse”, che per la loro amata patria significherebbe immediatamente la perdita di sovranità.

In piazza si vedono sventolare insieme le bandiere dell’Ucraina con le bandiere blu-stellate dell’Unione Europea, mescolandosi con le bandiere del partito di estrema destra Svoboda e con quelle rosse e nere dell’UPA (Ukrains’ka Povstans’ka Armija, l’Esercito Patriottico Ucraino che all’inizio della Seconda Guerra Mondiale accolse come liberatori i soldati tedeschi). Il gigantesco albero di Natale presente in piazza è stato tappezzato da una gigantografia di Julija Timošenko, l’”eroina” dei manifestanti.

I leader che organizzano la protesta in piazza sono: Arsenij Jacenjuk ex-Governatore della Banca Nazionale dell’Ucraina ed ex-Ministro dell’Economia, leader del partito della Timošenko Unione di Tutti gli Ucraini “Patria”; Oleg Tjagnibok leader del partito ultranazionalistico di estrema destra “Svoboda” (Libertà); ma la star indiscussa di questo sodalizio è certamente Vitalij Kličko il pugile campione dei pesi massimi, leader del partito Udar (Alleanza democratica ucraina per le Riforme).

Dall’Occidente, com’era logico attendersi, non sono tardate brusche reazioni alla decisione del presidente Janukovič. A Washington il rifiuto di Kiev alla firma dell’accordo di associazione con la UE è stato percepito come un duro colpo alla politica estera americana in Europa e in Eurasia. Negli Stati Uniti, si è addirittura parlato di mettere sotto sanzioni il presidente Janukovič e la sua famiglia. Le scelte delle autorità di Kiev collocherebbero il Paese, secondo i promotori di tale iniziativa, nella lista americana degli “stati canaglia”.

La cancelliera tedesca Angela Merkel, più prudente ed esitante nell’alimentare un possibile scontro polemico con Putin, saggiamente, considerando il poderoso volume d’affari tedesco con la Russia, ha invitato i suoi colleghi europei ad avviare “intense trattative” con Mosca. La Lituania, al contrario, attualmente alla presidenza dell’UE, ha esortato tutti gli Stati membri a sporgere una categorica condanna della “pressione imperialista” sull’Ucraina, invitando poi il popolo ucraino a proseguire nelle sue aspirazioni europee, nonché di condannare la posizione dell’attuale dirigenza ucraina che, secondo Vilnius, agirebbe contro agli interessi del proprio popolo.

In una dichiarazione congiunta del presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy e del presidente della Commissione europea José Manuel Barroso si è parlato di “pressioni esterne sull’Ucraina”. Il Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz ha sollecitato i suoi colleghi europei dichiarando che “la pressione economica e politica della Russia nei riguardi dei nostri partner orientali è semplicemente inaccettabile”. Rispondendo a questa serie d’insinuazioni, il rappresentante permanente della Russia presso la UE Vladimir Čižov ha precisato che se le relazioni della Russia con l’Ucraina fossero veramente “pressioni”, allora le azioni dell’Unione Europea nei confronti di Kiev potrebbero essere paragonate a “un rullo compressore”5.

L’Occidente ha cominciato a mandare a Kiev i suoi emissari per incoraggiare i manifestanti a continuare la loro protesta e per chiedere le dimissioni del presidente Janukovič. Catherine Ashton, il capo della diplomazia europea, precipitandosi a Kiev, ha incontrando i leader dell’opposizione ed ha criticato le azioni delle autorità ucraine6. Anche il senatore americano McCain si è mosso alla volta di Kiev. Incitando i manifestanti in piazza Maidan ha promesso pieno sostegno alle proteste filo-UE, dichiarando: “La vostra protesta pacifica sta ispirando il Paese e il mondo. L’Ucraina renderà migliore l’Europa, e l’Europa renderà migliore l’Ucraina”. McCain ha poi aggiunto: “L’America è con voi”7.

Pochi giorni prima, a Kiev, era giunta anche la viceministra degli esteri americana, Victoria Nuland, per biasimare le autorità ucraine. Secondo la Nuland “il mondo intero sta guardando con attenzione ciò che sta accadendo in Ucraina”. La Nuland ha inoltre affermato che le autorità del Paese devono fare una scelta: o “soddisfare le aspettative della gente” o “deluderle e rischiare di far sprofondare il Paese nel caos e nella violenza”8. Gli USA e la UE, arrogandosi il diritto d’interferire apertamente negli affari della politica interna del Paese, hanno umiliato la sovranità nazionale dell’Ucraina. Si tratta d’ingerenze gravi, addirittura impensabili se proviamo a capovolgere la situazione: immaginiamo disordini nelle piazze europee e personaggi politici, ad esempio russi, in soccorso alle richieste dei manifestanti.

Andiamo ora al punto cruciale della questione: al di là delle ragioni di tipo politico-economico, sullo sfondo di questa intricata faccenda si muovono ben precisi interessi di natura geopolitica. Nonostante non se ne senta parlare, il vero retroscena consiste nell’obiettivo, da parte occidentale, di trasferire nella propria orbita, sottraendoli all’influenza russa, 50 milioni di ex-sovietici. Questo fatto comporterebbe un colpo durissimo alla strategia di Putin che sta invece puntando tutto sulla sua Unione Doganale con Bielorussia e Kazakhstan, consapevole che senza l’Ucraina questa unione sarà imperfetta.

Il mainstream occidentale eclissa il fatto che l’entrata dell’Ucraina nell’Unione Europea implicherebbe a breve anche un’adesione del Paese all’Alleanza atlantica. Ma la retorica europeistica può ben sottostare anche agli obiettivi espansionistici della Nato. Ancora prima di McCain, è stata la stessa Nato ad esercitare pressioni sul governo ucraino. Il numero due dell’Alleanza atlantica, il Generale Alexander Vershbow, al termine dell’incontro annuale della Commissione bilaterale Nato-Ucraina aveva già dichiarato che “il futuro dell’Ucraina è nella UE” e che la Nato continuerà a guardare con molta attenzione l’evolversi delle manifestazioni pro-UE di Kiev9.

L’ammonimento, sempre della stessa Nato, riguardo alla questione ucraina è palese: “L’Ucraina si trova ad un bivio nelle sue relazioni con l’Alleanza atlantica. È arrivato il momento di scegliere tra l’adesione alla Nato, che offrirebbe all’Ucraina la possibilità di divenire uno stato europeo “civilizzato”, protetto dalle minacce alla propria sovranità e sicurezza nazionale, oppure la rinuncia alle sue aspirazioni d’integrazione euro-atlantica, con risultati meno chiari”10 (sarebbe interessante sapere cosa s’intenda con stato europeo “civilizzato” in questa dichiarazione).

L’Ucraina è attualmente legata alla Nato da un patto di partenariato ormai decennale; ora l’obiettivo consisterebbe nell’annettere in maniera definitiva quest’area di grande rilievo strategico per l’apparato militare USA in Europa. L’ingresso della Nato in Ucraina modificherebbe, in modo radicale, tutti i rapporti di forza e i principi della sicurezza comune. L’Alleanza atlantica si troverebbe a un passo da Mosca. Con basi navali in Ucraina, la US Navy arriverebbe a controllare quasi tutto il Mar Nero riuscendo, in tal modo, ad esercitare una grave pressione militare contro la Russia. Alla Russia rimarrebbe solo il porto sul Mar Nero di Novorossijsk; perderebbe, infatti, la base navale di Sebastopoli con tutta la sua gloriosa storia.

L’Ucraina servirebbe anche come base missilistica. Agli inizi di novembre, il segretario di Stato americano Kerry ha ribadito che lo “scudo anti-missile”, in Europa, verrà comunque realizzato11 nonostante la contrarietà della Russia. Sulla questione ucraina Mosca non può permettersi di cedere, qui si gioca la sua odierna “Stalingrado”: indietreggiare, non si può!

Non a caso, in questa situazione in bilico, Putin è passato al contrattacco con una mossa preventiva. Ha accettato di comprare 15 miliardi di bond ucraini in Euro e di tagliare il prezzo del gas naturale di un terzo12. In termini pratici significa salvaguardare l’Ucraina dal default, e salvare la popolazione da un’imminente disoccupazione di massa. Al di là delle promesse di aiuto europee e americane, fatti alla mano, solo la Russia è disposta, oggi, a pagare il conto, in denaro, per salvare l’Ucraina, come nella Grande Guerra Patriottica è stata pronta con il sangue dell’Armata Rossa a respingere gli invasori fino a Berlino.

Tuttavia, è improbabile che la Nato consideri chiusa la partita e rinunci a destabilizzare il Paese. Il fatto più importante è che questa mossa da Guerra Fredda cambierà d’ora in avanti i rapporti tra Russia ed Europa. La Nato è già penetrata all’interno dell’ex-URSS nelle Repubbliche baltiche; nonostante ciò, cavalcando la crisi ucraina aspira a penetrare in profondità nel ventre della Russia. Se pensiamo che questa mossa lasci indifferenti i russi, allora ci sbagliamo. Qui non si parla di un sistema europeo comune di sicurezza collettiva, qui si sta cercando d’imporre alla Russia di cedere la propria sicurezza all’Occidente. La Russia risponderà adeguatamente a questo “errore” dell’Europa13.

Guardando all’Ucraina, si deve tener presente il suo profondo legame storico, culturale, religioso con la Russia. Questo legame va rispettato. Raramente al mondo esistono popoli “fratelli” cosi fortemente intrecciati come i russi e gli ucraini. Quasi tutte le famiglie ucraine hanno parenti russi. Nell’Ucraina orientale e meridionale come in Crimea si continua a parlare russo. La Russia ortodossa è nata a Kiev. Russi e ucraini (anche bielorussi) sanno che la loro storia è iniziata in comune verso la fine del IX secolo con la Rus’ di Kiev (Kievskaja Rus’), il principato slavo-varjago con capitale Kiev sorto sulla rotta commerciale sfruttata dai varjaghi. Sempre a Kiev nel 988, su esortazione del Principe Vladimiro il Santo, con un battesimo di massa nel Dnepr la Rus’ divenne cristiana.

La maggioranza degli europei occidentali ha una conoscenza piuttosto limitata dell’Ucraina. Non c’è la percezione di una storia comune condivisa. Questo atteggiamento, ovviamente, non vale per i russi. Dal punto di vista di Mosca e di quasi tutti i russi, come pure degli ucraini russofoni che vivono nelle regioni orientali dell’Ucraina, la collocazione geopolitica di Kiev è con Mosca. Per loro, una “frontiera” che separi nettamente, militarmente, i due Paesi equivarrebbe ad una lacerazione della Grande Madre Russia, di uno spazio percepito, non solo geograficamente, ma anche storicamente e spiritualmente in comune.
Quindi, per capire lo sgomento e le reazioni da parte russa, alla possibile integrazione UE-Nato, definite dai politici europei “pressioni” russe nella politica ucraina, è indispensabile valutare questo parallelismo, questa similitudine storica culturale e spirituale dei due Paesi.

L’Ucraina è un Paese che ci appare “diviso”, tra una parte occidentale e una parte orientale-meridionale. Ad un Ovest ucrainofono, prevalentemente agricolo e terra d’immigrazione verso l’Europa, si contrappone un Est russofono e fortemente industrializzato. Per tutta una serie di ragioni storiche, la parte occidentale, con il suo epicentro nella città di Lviv, è nazionalista, russofoba, culturalmente, ideologicamente, tesa verso l’Europa. L’altra parte, quella orientale e meridionale, come pure la Crimea, continua a percepirsi profondamente legata alla Russia. Coerentemente, parlare in Ucraina d’”identità nazionale”, significa soprattutto parlare di “contrapposizione o continuità”, di “diversità o fratellanza” con la Russia.

L’ingerenza europea occidentale nelle questioni interne ucraine non ha fatto altro che inasprire questa contrapposizione, una scelta irresponsabile, che ha ulteriormente spaccato il Paese. Se questi contrasti non verranno presto appianati, si corre seriamente il rischio che l’Ucraina si possa “balcanizzare” con delle gravissime conseguenze militari, politiche, economiche… I manifestanti filoeuropei galvanizzati dal “supporto” euro-occidentale, pur di raggiungere i loro obiettivi ideologici sembrano determinati ad ignorare qualsiasi forma di buonsenso, come qualsiasi soluzione negoziata.

L’Europa ha forzato la mano e Mosca non resterà a guardare. Resta comunque da capire cosa succederà nei prossimi mesi; sta di fatto che Putin, secondo “fonti di sicurezza” citate dal quotidiano tedesco Bild, ha installato diverse batterie di missili a corto raggio Iskander-M per testate atomiche al confine con l’Unione Europea. I vettori, secondo il giornale tedesco, sono stati schierati sia nell’enclave russa di Kaliningrad, sia lungo il confine occidentale della Russia con Estonia e Lettonia. Le immagini satellitari indicano che si tratta di missili SS-2614.

Giorni difficili continuano ad annunciarsi per l’Ucraina. La partita attorno al futuro orientamento del Paese è solo all’inizio e la posta in gioco è molto alta. Di certo le scelte che l’Ucraina affronterà nei prossimi mesi si riveleranno cruciali per molti decenni a venire non solo per il Paese ma per tutto il continente euroasiatico.

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