Magazine Cinema
Regia: Olias Barco
Il dottor Kruger (Aurelien Recoing) gestisce una clinica che offre assistenza a chi ha deciso di mettere fine ai propri giorni e alle proprie sofferenze.
Tra gli obiettivi della clinica vi è quello di dissuadere i pazienti dal suicidarsi e, in caso di decisione irreversibile, di dare dignità e decoro al suicidio.
Nella villetta del suicidio medicalmente assistito sbarcano i personaggi più disparati, dal depresso che si finge malato di cancro pur di poter accedere al programma di morte assistita, alla cantante ( Zazie De Paris- che nella vita reale è una trans ) che ha perso la voce, a chi ha perso la moglie giocando a poker (Bouli Lanners).
Non essendo ben vista dalla bigotta comunità locale, la clinica viene presa d'assalto da un gruppo di fanatici pronti a far valere le loro convinzioni a colpi d'arma da fuoco.
Con pochissimi soldi, una troupe composta da pochissimi elementi, un cast che ha lavorato praticamente gratis, Olias Barco è riuscito nell’impresa di girare un film spiazzante, scorretto e cinico.
Obbligato a ricorrere al bianco e nero per ovvie ragioni di budget, Olias Barco ha dato vita ad una pellicola maledettamente coraggiosa che sviluppa la questione eutanasia ricostruendo tramite i personaggi del suo film il dibattito sulla morte assistita che tanto divide i cittadini dei Paesi occidentali.
Lo schema del film è molto semplice: la clinica è l’eutanasia, gli abitanti del piccolo centro rappresentano la difesa catto-integralista del diritto alla vita, l’intervento dello Stato tramite l'agente della Guardia di Finanza altro non è che l’ingerenza delle istituzioni su questioni private.
Piccolo film che più indipendente non si può, è riuscito nell'impresa di vincere un festival del cinema tutto lustrini e paillettes come quello di Roma, impresa ancor più difficile se si pensa al fatto che il tutto è avvenuto nella città simbolo della cristianità pur trattando un tema assai delicato e tanto caro ai gerarchi del vaticano
Il film è piacevole, infarcito di scene seriamente disturbanti, ma è evidente che ci troviamo dinanzi ad una pellicola "da festival" forse pensata per un pubblico di cinefili piuttosto che per le grandi platee.
Probabilmente con un maggior impegno a livello di dialoghi e calcando ulteriormente la mano sul lato grottesco della vicenda, Kill me please avrebbe avuto le carte in regola per raggiungere un pubblico più ampio.
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